martedì 23 giugno 2015

Il Cigno Nero

Il Festival del Cinema di Venezia è ancora lontano; solo i primi di Luglio verrà annunciato il film di apertura e a fine dello stesso mese verranno elencati i film partecipanti (a tal proposito, potete leggere i miei pronostici qui).

Nel frattempo vorrei proporre una mia analisi personale su Il Cigno Nero, film di Darren Aronofsky, con Natalie Portman, Vincent Cassel e Mila Kunis, che aprì  la 67ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia (anno 2010). I

l film, candidato a cinque premi Oscar, tra cui Miglior Film e Miglior Regia, riuscì ad aggiudicarsi l'Oscar per la Miglior Attrice Protagonista a Natalie Portman.
 
È interessante notare come tanti film sulla danza ci hanno insegnato, nel passato, che imparare a ballare bene richiede costanza, passione, tecnica e sacrificio (Dirty Dancing e Billy Elliott tra i tanti), ma mai nessuna pellicola ha saputo tradurre in immagini i sacrifici siano generatori di sofferenza in un ballerino che aspira sempre più alla perfezione, indagando sulla sua psiche, come ha fatto Il Cigno Nero.
La storia s’incentra su Nina (Natalie Portman), ballerina professionista, figlia di un’ex ballerina che non ha avuto una carriera di successo, che aspira all’assoluta perfezione tecnica. La tecnica non è tutto e quando il coreografo Leroy (Vincent Cassell) decide di mettere in scena una rivisitazione de Il Lago dei Cigni e sarà presa per il doppio ruolo di cigno nero e bianco, la vita di Nina si svilupperà in modo instabile.
 

Se doppio, è il ruolo di Nina, dalla sua nomina a prima ballerina, anche il suo essere subisce uno sdoppiamento, legato a doppio filo con il suo ruolo da palcoscenico.
Nina incarna nel pieno del suo essere il cigno bianco, raffinato e perfetto nelle sembianze, ma timido, introverso e remissivo; per ciò Leroy e la ballerina Lily (Mila Kunis) lavorano su di lei, sulla sua danza e i suoi rapporti sociali, per dare sfogo alla parte oscura del suo cigno, dal carattere fermo, seduttivo e ribelle.
L’insicurezza di Nina di fallire in tutto, di sentirsi messa da parte, con l’aggiunta della madre ossessiva e che la riempie di sensi di colpa, pone se stessa e la sua storia da un dramma senza rimedio a un horror psicologico.
Il regista Darren Aronofsky riesce trasfigurare sullo schermo la doppia identità che la protagonista non riesce a scindere e ciò avviene prima grazie alla maggior parte delle riprese con macchina da presa a spalla e poi con continue esibizioni danzanti, sulle note di Čajkovskij arricchite con le musiche di Clint Mansell.
 

A mano a mano che la pellicola prosegue, ossessioni, follia e sadismo aumentano, le inquadrature diventano rudi e sempre più dark e denotano come la personalità tetra di Nina riesca a creare un effetto domino mentale tendente al baratro, dove le ferite esterne si fanno interne e il cigno nero si fa sempre più presente.
Nessuno è perfetto in tutto, né un ballerino né il film in questione; esso diventa per certi versi irritante specie quando la protagonista continua a piangere lacrime per il suo auto flagellamento vittimistico. Altra pecca di Aronofsky è il trattamento di argomenti da proporre per dare vitalità alla protagonista, come quello della sessualità; argomento considerato e poco dopo parcheggiato.

Ma il mondo del ballo è davvero così infernale? Indubbiamente per pretendere certi livelli ci vuole (auto) critica e tanta perseveranza ma la passione deve essere il Fouettés en tournant di ogni persona che aspira a diventare un elegante e raffinato cigno, mentre la protagonista propende ad un ideale di libertà personale e danzante che le fa perdere la bussola dell’equilibrio mentale, piroettando in gironi infernali senza un Virgilio.
 

 

Nessun commento:

Posta un commento