domenica 12 giugno 2016

In nome di mia figlia - Una lotta per la giustizia, lunga una vita

Di Emanuele Paglialonga


Dopo aver avuto un ruolo chiave ne Le confessioni di Roberto Andò, uscito in sala ad aprile, Daniel Auteuil si appresta a tornare, questa volta come protagonista assoluto, con il nuovo lavoro del cineasta francese Vincent Garenq, In nome di mia figlia.
Il film è ispirato da un fatto di cronaca, e racconta la storia di Andrè Bamberski, la cui giovane figlia Kalinka viene trovata senza vita mentre è in vacanza con la madre e con il patrigno. Le circostanze della morte appaiono subito poco chiare a Andrè, sicuro che non si sia trattato di un incidente, ma di omicidio.
Comincia così una lunga crociata giudiziaria per Bamberski (più di vent’anni), durante i quali cerca di trovare a tutti i costi delle prove contro l’assassino e, soprattutto, di fare in modo che questi possa essere assicurato alla giustizia. In più, il fattaccio era avvenuto in Germania, sicché la questione diviene intricata fin dall’inizio, anche per l' aspetto legato alle controversie internazionali. 
Bamberski si farà giustizia da solo? Il colpevole sarà punito come merita? Verrà fatta giustizia per una povera innocente? Ci saranno altre vittime?

Questa e altre domande troveranno risposta nel corso della vicenda, che mette le cose in chiaro fin dai primi minuti del film: la giustizia francese è stata vile, e il peso di tutta la battaglia cade su un unico paio di spalle: quelle di Andrè Bamberski, che “vuole conoscere la verità, ma si farà soprattutto del male”, come gli viene detto a un certo punto. Lui non demorde e va avanti, poiché il suo obiettivo principale è evitare che la morte della figlia cada nell’oblio, nonostante le menzogne e il tempo che passa inesorabile.
Il fatto di cronaca viene quindi snocciolato e raccontato con grande attinenza e precisione rispetto a quanto realmente accaduto, senza mai perdersi o indugiare in sentimentalismi o isterismi inutili, e nonostante questo diventa comunque in grado di colpire e prendere a calci la coscienza dello spettatore.
In nome di mia figlia è, quindi, un giallo giudiziario di alta scuola, un thriller potente e lucido, in grado di catturare l’attenzione dello spettatore e farlo viaggiare attraverso flashback, dall’estate dell’ ’82 fino agli anni duemila, facendogli conoscere l’enorme menzogna contro cui Bamberski dovette combattere per riuscire a portare giustizia.
Centrati i ruoli principali, grazie a un interessante lavoro di casting; reggono il film Sebastian Koch, Marie-Josée Croze, ma soprattutto Daniel Auteuil, colonna portante dell’intero impianto della storia: un’interpretazione che l’attore ha reso con grande attenzione, centrando un ruolo non facile, o comunque sia controverso.
Il vero peccato è che un film così ben fatto venga distribuito al cinema nello stesso momento (il 9 di giugno) in cui al box office vanno bene, a stento, X-Men: Apocalisse e Alice attraverso lo specchio (attualmente a quota 5 milioni circa in due settimane. Il precedente di Tim Burton ne aveva incassati 10 e mezzo in 5 giorni di programmazione).
Il nome della figlia di Bamberski non cadrà nell’oblio, ma In nome di mia figlia probabilmente (purtroppo) sì.

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