sabato 31 dicembre 2016

I film più attesi del 2017!

L'arrivo di un nuovo anno comporta anche una crescita maggiore di attesa per i film che esso proporrà.
Dunque, quali sono i film più attesi del 2017?
Difficile dirlo, poiché i titoli sono davvero molti, appartenenti ai più diversi generi.
Ma ecco qui una breve lista riassuntiva sui titoli più attesi dell'anno (non ne vogliano gli altri), in ordine alfabetico!


Alien: covenant

Di Ridley Scott, con Katherine Waterston, Noomi Rapace, Michael Fassbender.
Uscita: agosto.

Alien Covenant è il sequel, di nuovo diretto da Ridley Scott, di Prometheus. Covenant è il nome dell'astronave e della missione spaziale che scopre un pianeta apparentemente incontaminato e idilliaco, nel quale il solo abitante è David (Michael Fassbender), unico superstite della spedizione Prometheus.
 
 

Blade runner 2049

Di Denis Villeneuve, con Jared Leto, Ana de Armas, Ryan Gosling, Harrison Ford, Robin Wright.
Uscita: ottobre.

Trent'anni dopo gli eventi del primo film, un nuovo blade runner, l'Agente K della Polizia di Los Angeles (Ryan Gosling) scopre un segreto sepolto da tempo che ha il potenziale di far precipitare nel caos quello che è rimasto della società.
La scoperta di K lo spinge verso la ricerca di Rick Deckard (Harrison Ford), un ex-blade runner della polizia di Los Angeles sparito nel nulla da 30 anni.



Dunkirk

Di Christopher Nolan, con Tom Hardy, Mark Rylance, Kenneth Branagh, Cillian Murphy, Fionn Whitehead.
Uscita: agosto.

Il film si apre con centinaia di migliaia di truppe Inglesi e Alleate circondate dalle forze nemiche. Intrappolate sulla spiaggia, con alle spalle il mare, le truppe si trovano ad affrontare una situazione impossibile con il nemico che incalza.



Happy end

Di Michael Haneke, con Isabelle Huppert, Jean-Louis Trintignant.
Uscita: agosto.

Una famiglia molto ricca francese vive nel nord della Francia, non preoccupandosi della povertà che padroneggia nei campi di migranti situati intorno alla città portuale di Calais, luogo distante solo poche miglia dalla loro abitazione.
Il loro isolamento borghese li ha resi insensibili alla realtà drammatica che li circonda.


 
It

Di Andres Muschietti, con Bill Skarsgard, Finn Wolfhard, Jaeden Lieberher, Nicholas Hamilton.
Uscita: settembre.

In una cittadina nel Maine, sette giovani ragazzi che formano il gruppo dei "Perdenti" devono vedersela con un mostro che ha preso le sembianze di un clown chiamato Pennywise.


 
Justice League - Parte I

Di Zack Snyder, con Ben Affleck, Henry Cavill, Gal Gadot, Amber Heard, Amy Adams, Jason Momoa, Ezra Miller, Ray Fisher.
Uscita: 17 novembre.

Con una nuova fiducia nell'umanità, ispirato dal gesto altruista di Superman, Batman e Wonder Woman lavorano insieme per trovare e reclutare una squadra di metaumani che si oppongano ad una nuova minaccia.
Ma nonostante la formazione di questa inedita alleanza di eroi - Batman, Wonder Woman, Aquaman, Cyborg e Flash - potrebbe essere forse troppo tardi per salvare il pianeta da un attacco di proporzioni catastrofiche.


 
L’uomo di neve

Di Tomas Alfredson, con Michael Fassbender, Rebecca Ferguson, Chloe Sevigny, Val Kilmer, J.K. Simmons.
Uscita: 12 ottobre.

Tratto dall'omonimo romanzo di Jo Nesbø, la storia parla di un detective, a capo di una squadra speciali della polizia, quando investiga sulla sparizione di una vittima durante la prima nevicata dell’inverno ed inizia a temere che sia nuovamente all’opera un elusivo serial killer. Con l’aiuto di una giovane e brillante recluta, il poliziotto dovrà legare assieme casi irrisolti vecchi di decenni con questo nuovo e brutale, della speranza di riuscire a smascherare il killer prima della prossima nevicata.


La bella e la bestia

Di Bill Condon, con Emma Watson, Emma Thompson, Dan Stevens, Luke Evans, Josh Gad.
Uscita: 16 marzo.

La storia racconta il fantastico viaggio di Belle, giovane donna brillante, bellissima e dallo spirito indipendente che viene fatta prigioniera dalla Bestia e costretta a vivere nel suo castello. Nonostante le proprie paure, Belle farà amicizia con la servitù incantata e imparerà a guardare oltre le orrende apparenze della Bestia, scoprendo l’anima gentile del Principe che si cela dentro di lui.


La legge della notte 

Di Ben Affleck, con Ben Affleck, Zoe Saldana, Elle Fanning, Sienna Miller.
Uscita: febbraio.

La Legge della Notte è ambientato nei ruggenti anni ’20, quando il Proibizionismo non riesce a fermare il fiume d’alcool che invade gli speakeasy della mala.
Chiunque con abbastanza ambizione e nervi saldi ha l’opportunità di ottenere rapidamente potere e denaro e così Joe Coughlin, il figlio di un commissario della Polizia di Boston, da tempo ha voltato le spalle alla sua rigida educazione per diventare un fuorilegge. Però perfino tra i criminali esistono delle regole e Joe infrange la più grande: incrocia il suo cammino con un potente boss, rubandogli soldi e donna. L’incontro finisce in tragedia, conducendo Joe su un percorso di vendetta, ambizione, amore e tradimenti che lo costringe a lasciare Boston per Tampa e i suoi contrabbandieri di rum.



La mummia

Di Alex Kurtzman, con Sofia Boutella, Tom Cruise, Annabelle Wallis, Russell Crowe.
Uscita: 8 giugno.

Creduta sepolta in una cripta in profondità sotto un deserto che non perdona, un'antica regina, il cui destino le è stato ingiustamente strappato via, si risveglia nei giorni nostri portando con se una malvagità cresciuta con lei nel corso dei millenni e terrori che sfidano la comprensione umana.


Logan

Di James Mangold, con Hugh Jackman, Elizabeth Rodríguez, Patrick Stewart.
Uscita: 2 marzo.

In questo terzo film dedicato a Wolverine (dopo X-Men - Le origini: Wolverine e Wolverine - L'immortale), Logan e Professor X saranno tra i pochi ultimi mutanti ancora in circolazione, nel 2024. Ma essi dovranno riunirsi, data la scoperta di una bambina che ha le stesse caratteristiche di Wolverine, tra capacità di rigenerazione e dotazione di artigli.
Un'America dalle lande desolate e un Wolverine che vive per inerzia.


 
Silence

Di Martin Scorsese, con Liam Neeson, Andrew Garfield, Adam Driver.
Uscita: 12 gennaio.

Silence narra di due preti gesuiti portoghesi che nel 1638 partono alla volta del Giappone per indagare sul presunto abbandono formale della religione da parte del suo mentore Ferreira.
Arrivati a destinazione, saranno testimoni delle persecuzioni ai danni dei Cristiani.



Smetto quando voglio 2 – Masterclass

Di Sydney Sibilia, con Edoardo Leo, Valerio Aprea, Paolo Calabresi, Stefano Fresi, Pietro Sermonti, Libero De Rienzo, Lorenzo Lavia, Marco Bonini, Valeria Solarino, Luigi Lo Cascio.
Uscita: 2 febbraio.

Se nel primo film, per sopravvivere Pietro Zinni e i suoi colleghi avevano lavorato alla creazione di una straordinaria droga legale diventando poi dei criminali, in questo seguito è la legge ad aver bisogno di loro.
Sarà l'ispettore Paola Coletti a chiedere al detenuto Zinni di rimettere su la banda, creando una task force al suo servizio che entri in azione e fermi il dilagare delle smart drugs. Agire nell'ombra per ottenere la fedina penale pulita: questo è il patto.
Il neurobiologo, il chimico, l'economista, l'archeologo, l’antropologo e i latinisti si ritroveranno dall’altra parte della barricata, ma per portare a termine questa nuova missione dovranno rinforzarsi, riportando in Italia nuove reclute tra i tanti "cervelli in fuga" scappati all'estero. La banda criminale più colta di sempre si troverà ad affrontare molteplici imprevisti e nemici sempre più cattivi tra incidenti, inseguimenti, esplosioni, assalti e rocambolesche situazioni come al solito "stupefacenti".


Split

Di M. Night Shyamalan, con James McAvoy, Anya Taylot-Joy, Betty Buckley.
Uscita: 26 gennaio.

Anche se Kevin (James McAvoy) ha mostrato ben 23 personalità alla sua psichiatra di fiducia, la dottoressa Fletcher (Betty Buckley), ne rimane ancora una nascosta, in attesa di materializzarsi e dominare tutte le altre.
Dopo aver rapito tre ragazze adolescenti guidate da Casey (Anya Taylor-Joy), ragazza molto attenta ed ostinata, nasce una guerra per la sopravvivenza, sia nella mente di Kevin – tra tutte le personalità che convivono in lui – che intorno a lui, mentre le barriere delle le sue varie personalità cominciano ad andare in frantumi


 
Suburbicon

Di George Clooney, con Matt Damon, Oscar Isaac, Josh Brolin, Julianne Moore, Glenn Fleshler, Michael Cohen.
Uscita: non definita.

Non si sa ancora molto di questo film, al di là del fatto che dovrebbe essere ambientato negli anni '50 e che rivede, ancora una volta, la collaborazione tra George Clooney ed i fratelli Coen (sceneggiatori del film).


 
The lost city of Z

Di James Gray, con Charlie Hunnam, Robert Pattinson, Sienna Miller, Tom Holland.
Uscita: aprile.

Adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo di David Grann che racconta le vicende di Percy Harrison Fawcett, militare, archeologo ed esploratore britannico, vissuto tra il 1867 e morto nel 1925.
Nel 1925 Fawcett si addentrò insieme al figlio nella giungla amazzonica alla ricerca di una leggendaria città, senza fare mai ritorno.


Trainspotting 2

Di Danny Boyle, con Ewan McGregor, Jonny Lee Miller, En Bremner, Rot Carlyle, Simon Weir.
Uscita: marzo.

Renton, Sick Boy, Begbie e Spud vent'anni dopo, sono alle prese con le loro nuove vite.
Non ci sono più problemi con la droga ma, questa volta, il business è legato alla pornografia...


 
Wonder Woman

Di Patty Jenkins, con Gal Gadot, Chris Pine, Robin Wright, David Thewlis.
Uscite: giugno.

Prima ancora d’essere Wonder Woman, lei era Diana, principessa delle Amazzoni, cresciuta su un’isola paradisiaca al riparo dal mondo esterno e allenatasi per diventare una guerriera invincibile. L’arrivo di un pilota americano, schiantatosi sulle coste e il suo racconto riguardo al violento conflitto che si sta scatenando oltre quei confini, inducono Diana a lasciare la propria casa, convinta di poter fermare la minaccia. Combattendo al fianco degli esseri umani in una guerra che porrà fine a tutte le guerre, lei scoprirà i suoi poteri e… il suo vero destino.



Menzioni speciali per i film già visti in anticipo tra il Festival di Venezia e la Festa di Roma:

Arrival

Di Denis Villeneuve, con Amy Adams, Jeremy Renner.
Uscita: 19 gennaio.

Prima di Blade Runner 2049, arriva al cinema un altro film di Villeneuve, Arrival, un thriller di fantascienza.
Quando un misterioso oggetto proveniente dallo spazio atterra sul nostro pianeta, per le susseguenti investigazioni viene formata una squadra di élite, capitanata dall’esperta linguista Louise Banks (Amy Adams). Mentre l’umanità vacilla sull’orlo di una guerra globale, Banks e il suo gruppo affronta una corsa contro il tempo in cerca di risposte e, per trovarle, farà una scelta che metterà a repentaglio la sua vita e, forse, anche quella del resto della razza umana.


 
Jackie

Di Pablo Larrain, con Natalie Portman, Peter Sarsgaard.
Uscita: 14 febbraio.

Il film si svolge nei quattro giorni intercorsi tra l'omicidio di JFK e il giorno del suo funerale. La storia si concentra sul conflitto tra la ormai ex First Lady impegnata a dare l'ultimo saluto al marito e il neo presidente Lyndon Johnson il cui unico scopo è quello di affermare la propria leadership facendo il suo ingresso alla Casa Bianca il più presto possibile.
Jackie è solo una donna normale, che soffre per la perdita del marito e che vuole solo il meglio per la sua famiglia e che trova sollievo per la sua anima solo aggrappandosi alla fede religiosa, perché esente dal giudicare.


La battaglia di Hacksaw Ridge

Di Mel Gibson, con Andrew Garfield, Teresa Palmer, Sam Worthington, Vince Vaughn, Hugo Weaving.
Uscita: 9 febbraio.

Hacksaw Ridge è un film epico sulla storia vera del medico dell’esercito americano, Desmond T. Doss (Andrew Garfield).
L’uomo, un obiettore di coscienza, che rifiutava l’uso delle armi, fu insignito della Medaglia d’Onore dal Presidente Harry S.Truman per aver salvato da solo con le proprie forze più di 75 compagni durante la brutale battaglia di Okinawa nel corso della Seconda Guerra Mondiale. 



La la land

Di Damien Chazelle, con Emma Stone, Ryan Gosling, J.K. Simmons
Uscita: 26 gennaio.

La la land racconta un’intensa e burrascosa storia d’amore tra un’attrice e un musicista che si sono appena trasferiti a Los Angeles in cerca di fortuna.
Mia (Emma Stone) è un’aspirante attrice che, tra un provino e l’altro, serve cappuccini alle star del cinema, mentre Sebastian (Ryan Gosling) è un musicista jazz che sbarca il lunario suonando nei piano bar.
Dopo alcuni incontri casuali, fra Mia e Sebastian esplode una travolgente passione nutrita dalla condivisione di aspirazioni comuni, da sogni intrecciati e da una complicità fatta di incoraggiamento e sostegno reciproco. Ma quando iniziano ad arrivare i primi successi, i due si dovranno confrontare con delle scelte che metteranno in discussione il loro rapporto.
La minaccia più grande sarà rappresentata proprio dai sogni che condividono e dalle loro ambizioni professionali.
Un ritorno del musical sul grande schermo, con gli stili e tanti rimandi ai classici degli anni '50, ma adattando ciò al presente.

 
Manchester by the sea

Di Kenneth Lonergan, con Casey Affleck, Michelle Williams, Kyle Chandler, Matthew Broderick.
Uscita: 16 febbraio.

Dopo l'improvvisa morte del fratello maggiore, Lee Chandler (Casey Affleck), un idraulico di Boston, è vede costretto a tornare nella sua città natale, dove scopre di essere stato nominato tutore del nipote sedicenne.
Da solo, si trova ad affrontare i demoni del suo passato ed a far fronte ad un futuro pieno di incertezze e rischi.

venerdì 30 dicembre 2016

2016: quali sono i film dell'anno?

Un altro anno sta per salutarci, e come ogni anno partono tutte le classifiche possibili ed immaginabili in riferimento ad i film visti quest'anno.
E così ecco qua una bella lista dei film che personalmente ho apprezzato di più durante il 2016, disposti in ordine di preferenza, rigorosamente usciti nelle nostre sale in questo anno solare.



1) The Hateful Eight
 
Mai come in questo film Quentin Tarantino dimostra la sua maturità cinematografica.
The Hateful Eight viaggia per 165 minuti su un equilibrio che apparentemente sembra sempre sul punto di frantumarsi in tanti pezzi, composto da suspense, violenza, maligna ironia, inganni, sangue, colpi di scena sempre inaspettati ed attrazione visiva.
Forse per la prima volta la sceneggiatura di Quentin riesce a tenere testa e anche di più rispetto agli elementi visivi, dando ad entrambi un pari valore evocativo.
Se poi si contano la colonna sonora di Ennio Morricone e le proiezioni su pellicola a 70 mm, allora non si può proprio chiedere di più.

 

2) Sing Street

La musica fa parte della vita di tutti, dall'alba dei tempi; accompagna ogni singolo momento e ci sarà sempre quel brano che sembrerà esser stato scritto e composto per noi. Essa, forma e accompagna l'esistenza di tutti. E in fondo questo è quello che avviene a Cosmo, anche se in forma attiva perché sarà proprio lui a ideare e comporre una band per cercare di conquistare una ragazza.
La musica diventa il balsamo ed il collante di condivisione di esperienze (vedi i membri della band, tutti, come Cosmo, isolati ed emarginati non per la loro negatività ma, anzi, per le loro qualità più o meno nascoste), di amicizie profonde, di un amore adolescenziale (che a ragione non vuol significare meno valido di un amore adulto) e di recupero di rapporti umani, soprattutto familiari.

In Sing Street, Cosmo diventa l'alter ego del regista John Carney (Once, Tutto può cambiare) che ai suoi tempo ha condiviso gli stessi sentimenti e vicissitudini del protagonista. Bisogna dare onore al merito dello stesso regista che ha curato, insieme a Gary Clark, tutte le canzoni del film, tutte rigorosamente originali.


 


3) One More Time With Feeling

Nick Cave e l'elaborazione del lutto. Questo film, di Andrew Dominik, naviga nelle tempestose acque del trauma di perdere il proprio figlio quindicenne. Come può andare avanti la vita dopo un evento simile? Come si può continuare a realizzare un album, già in lavorazione prima del lutto?
In un bianco e nero che sembra evocare l'equilibrio di luce ed ombre, di negatività e di qualche speranza in fondo al tunnel, con tratti eleganti ed essenziali, per non essere di impiccio al fulcro del film, Dominik riprende l'amico che si apre al pubblico per elaborare la sua sofferenza.
 

 

4) Sully

Come e perché si può e si deve tentare di tutto, appellandosi alle tecnologie di ultimo grido, per poter mettere un uomo, Chesley "Sully" Sullenberger, che ha svolto al meglio il suo lavoro, spalle al muro pur sapendo nel profondo che le alternative considerate valide avrebbero causato morte certa?
E come potrà mai sentirsi quest'uomo, di cui dei suoi 40 anni di carriera ne verranno valutati solo gli ultimi istanti, che viene scisso dai più come un eroe o come una specie di giocoliere?

Clint Eastwood vuole che lo spettatore venga posto davanti allo scavo di questa vicenda processuale, dove i dettagli sono le parti più importanti per dipanare i dubbi, i sospetti, i pregiudizi, le ostinazioni; essi vengono dosati e somministrati ogni qualvolta vengano riproposti i 208 secondi che hanno fatto scaturire tutto quanto.

 

 


5) Lo Chiamavano Jeeg Robot

Il debutto al lungometraggio di Gabriele Mainetti pone le sue basi tra fumetti ed anime.
E cosi, un piccolo criminale come Enzo Ceccotti, una volta che si immerge nelle acque del Tevere e finisce a contatto con una sostanza radioattiva, finisce per assumere una forza ercolina, che usa principalmente ed inizialmente per i suoi interessi criminali.
L'anti-eroe, che ha anche un nemico di tutto rispetto, anch'egli dell'ambiente criminale romano, viene rivisto come novello Jeeg Robot dalla giovane vicina, che non fa altro che rivedere tutte le puntate di Jeeg Robot d'acciaio.
Finalmente, sul fronte italiano, un film che rischia dal punto di vista del genere, che rielabora anime e fumetti senza essere delle mere citazioni da o per nerd. Un film originale, moderno, intraprendente e coinvolgente.


 

6) The end of the tour

Il film di James Ponsoldt (The Spectacular Now), racconta i cinque giorni di convivenza, nel 1996, tra il giornalista del magazine Rolling Stone, David Lipski ed uno dei maggiori scrittori contemporanei, David Foster Wallace, durante la fine del tour promozionale del romanzo più fortunato di Wallace: Infinite Jest.
The End of the Tour è road movie malinconico che, basandosi sul libro di Lipsky Come diventare se stessi. David Foster Wallace si racconta (2010), pubblicato due anni dopo il suicidio di Wallace, non prende in esame tanto la persona in sé (tralasciando la forma del biopic), ma cerca di mettere in scena le riflessioni di due scrittori di diverso genere, scambi di idee, scontri e confronti, d due esistenze vissute nella loro relativa solitudine.


 

7) Carol

Nella New York degli anni '50, Todd Haynes sviluppa una storia d'amore saffico, tra due donne di diverso carattere e diversa estrazione sociale. I sentimenti che entrambe provano, saranno la chiave di volta per poter conoscere realmente se stesse, i propri pensieri ed i propri desideri.
Haynes si affida più all'immagine che al testo per raccontare: le sue inquadrature sono evocative, come se ogni parola potesse essere fuori luogo o rompere la magia del momento.
Le emozioni sono sottese, si colgono tra gli sguardi e le eleganti movenze delle due protagoniste.


 

8) Zootropolis

Il 55° classico Disney con degli animali antropomorfi, ma di tutt'altra parrocchia rispetto a Robin Hood e Chicken Little.
La coniglietta Judy ed la volpe Nick sono i protagonisti di questo film di animazione che tratta temi umani: realizzare i propri desideri. Ma si fa presto a rendersi conto che non tutto è come pensiamo o come vorremmo che sia. Gli ostacoli lungo la via che si percorre per raggiungere un obiettivo è irta e piena di ostacoli da superare; ma magari, tutto può diventare più facile grazie anche ad un'amicizia impensabile che possa ampliare gli orizzonti di comprensione.
In Zootropolis, diretto da Byron Howard (Bolt, Rapunzel) e Rich Moore (Ralph Spaccatutto), sebbene vi siano diversi personaggi che potenzialmente potrebbero gareggiare con i protagonisti, rimangono entro i limiti fissati, senza sconfinare e senza prendere la scena, che non è loro.
Meno favola e più concretezza di ostacoli da superare ed obiettivi da raggiungere.

 
 

9) Revenant - Redivivo

L'ultimo film di Alejandro Gonzales Inarritu, sebbene colpisca più per le immagini che per il contenuto in sé (come avviene per la maggior parte nei suoi film) e possa scivolare nella poca empatia con il personaggio, sprigiona forza dal punto di vista tecnico, solenne e fotografico.
Il regista messicano ci vuole sfiancati e messo allo stremo delle forze come Hugh Glass, a seguire il suo cammino senza che sia dato un attimo di fiato per riprendersi.
Lo spazio sconfinato canadese dà ampio respiro alle inquadrature, quasi come se contenessero dell'aura mistica e predisposizione alla solennità.
Inarritu rappresenta la natura come una Madre, su palmo di mano, quasi mitizzata e allo stesso tempo contenitore delle più atroci barbarie.
 
 
 

10) Room

Adattamento del romando Stanza, letto, armadio, specchio (Room) di Emma Donoghue, del 2010, il film racconta con tatto e con aspetti curati uno dei fatti più gravi che una ragazza/donna possa subire: il sequestro di persona e la violenza carnale e psicologica.
Il legame tra vittima e carceriere è legata a doppio filo, e con un bambino di mezzo che non ha mai visto nulla al di fuori del proprio carcere, la situazione si sviluppa con tre elementi, di volta in volta uno superiore all'altro.
I punti di vista sono due, ma è quello del bimbo a manovrare quello della madre, rispetto al presente ed al futuro.
Lenny Abrahamson (Frank) analizza i danni post-traumatici del dramma del bambino Jack, che una volta uscito dal bunker può solo andare verso la scoperta di un mondo che non ha mai visto ma solo immaginato, e della madre che non riesce a slegare la simbiosi avuta per anni con suo figlio.

giovedì 22 dicembre 2016

Florence Foster Jenkins - Quella cosa chiamata passione

 
Nella seconda metà della carriera, Stephen Frears si è ampiamente dedicato ai biopic: The Queen, Muhammad Ali's Greatest Fight, Philomena The Program e l'ultimo, Florence Foster Jenkins.

Florence Foster Jenkins si basa sulla storia vera di questa signora americana delle alte sfere sociali; una storia che ha ispirato il film Marguerite, di Xavier Giannoli, del 2015.

Accantonato il sogno di gioventù di suonare il pianoforte, per colpa della sifilide contratta dal primo marito che ha messo a dura prova le sue articolazioni, Florence (Meryl Streep) coltiva il desiderio, sempre più crescente, di diventare una grande cantante lirica; checchè se ne dica, la sua passione smuoverà le montagne fatte di sfregi e risatine dei maligni.
Membro dell'alta società di New York, Florence si è sempre dimostrata amica, buona e generosa verso tutti, sfruttando il suo (buon) canto per concerti privati e non, e fondando il The Verdi Club nei primi anni '20.
 
La vera Florence Foster Jenkins.

Ambientato nel 1944, anno della morte della protagonista, il film indaga sulla mancanza di talento vocale e sulla passione personale che sovrasta gli aspetti negativi.
Quanto può una passione verso qualcosa non farci accorgere di non essere magari capaci di coltivarla con talento e professionalità? Ma non si dovrebbe di essere liberi e coltivare qualsivoglia passione, senza tener conto del rendimento?
Nonostante ogni sua esibizione canora sembra precludere al disastro, tutte saranno sempre contraddistinte da applausi e gran sorrisi (più o meno finti), rafforzando la convinzione di Florence di essere una gran cantante d'opera; questa convinzione viene mantenuta ad alti livelli grazie al marito St.Clair (Hugh Grant), molto più giovane di lei.
Attore di terz'ordine, vive diviso da due forme di amore: quello spensierato con una giovane ragazza (Rebecca Ferguson) e quello platonico, sincero e protettivo per Florence.
St. Clair cerca, e lo farà fino alla fine dei giorni della moglie, di farla vivere nella convinzione di essere una cantante di successo per il suo innato talento, arrivando a pagare gli spettatori, a raccogliere tutti i giornali del circondato, selezionando per lei solo quelli con critiche positive, fino a corrompere la critica.
 
 
Se Meryl Streep è forse l'attrice che più calza in questo ruolo, fresca studentessa di lezioni di (non) canto per imparare volutamente a steccare con classe, forse chi ne esce più vittorioso a livello recitativo è Hugh Grant, che non si vedeva da anni in una forma così smagliante e in grande forma.
Una nota di merito, infine, va sicuramente data a Simon Helberg (sì, proprio l'Howard di The Big Bang Theory) che interpreta Cosmé McMoon, il giovane pianista che dapprima scettico e riluttante, salvo poi diventare un amico devoto di Florence, la supporterà e la accompagnerà fino alla morte con il suo pianoforte.
Florence Foster Jenkins è un film che vuole essere sì una commedia, ma vuole anche porre delle riflessioni in merito all'amare quello che si fa, senza (forse) sapere di non essere eccellente; in fondo, quanti di noi vorrebbero sentirsi dire di essere eccelsi nell'ambito in cui ci si impegna con devozione e passione?

giovedì 15 dicembre 2016

Rogue One: a Star Wars Story – Recensione no spoiler

Di Emanuele Paglialonga

 
Se nel 2015 ci aveva pensato J. J. Abrams a riportare tutti nella galassia lontana lontana, quest’anno è toccato a Gareth Edwards il non facile compito di ricreare quelle atmosfere, in un film che non è il continuo de Il Risveglio della Forza (Episodio VII).
Rogue One, infatti, è un prequel, ma è anche il primo spin-off della saga.
E sono diverse, in realtà, le prime volte: è il primo film di Star Wars senza i titoli a scorrimento iniziali, senza le musiche di John Williams (alla colonna sonora c’è Michael Giacchino), il primo che non segue da vicino le peripezie della famiglia Skywalker (non sappiamo ancora chi è Rey, ma Kylo Ren è comunque uno Skywalker alla lontana). 
 

La “dinastia” con cui bisogna familiarizzare è infatti quella degli Erso: Galen, il padre, interpretato da Mads Mikkelsen, e la figlia, Jyn, Felicity Jones.
Galen è uno scienziato molto ricercato sia dall’Impero che dalla Ribellione; c’è la sua mano, infatti, nella realizzazione della celebre Morte Nera, arma di sterminio di massa che verrà distrutta in Una nuova Speranza (Episodio IV).
L’Impero lo ha rapito e tenuto con sé, ma Galen è riuscito a mettere in salvo sua figlia, con la quale un giorno forse riuscirà a mettersi in contatto, per fare qualcosa in favore di causa della Ribellione.
I protagonisti di Rogue One sono tutti membri della Ribellione, o comunque sia in quota anti-Impero, che hanno compiuto, compiono e compieranno dei sacrifici per una causa ben più grande: ristabilire ordine, ma soprattutto libertà e pace, all’interno di una galassia tormentata da un nemico troppo oscuro e grande. 


Una parola che ritorna spesso all’interno del film è “Speranza”. La stessa speranza che darà il titolo al primo film (in ordine di produzione, il quarto secondo il canone), una speranza nuova, con un nome, un cognome e una bionda capigliatura: quel Luke Skywalker visto solo di sfuggita nell’emozionale scena conclusiva de Il Risveglio della Forza. 

Come si colloca Rogue One all’interno della saga?
Senza dubbio fa meno danni de La minaccia fantasma (Episodio I); Edwards è riuscito a richiamare i toni e le atmosfere di Episodio VII, forse in maniera ancora più dark. Ci sono dei ritorni, più o meno inaspettati, a partire da Darth Vader fino ad un cameo gradito che non poteva non esserci, e un altro, molto più inaspettato, nel finale, che farà saltare dalle poltrone e gridare tutti i fan della saga. Anche solo lo scambio di battute conclusivo vale tutto il prezzo del biglietto. 


Sono questi i momenti in cui il film si eleva, ovvero quando prepara la strada a Episodio IV; in questo senso, l’ultima mezz’ora è fondamentale, e bisogna riconoscere il merito delle armi agli sceneggiatori (Chris Weitz e Tony Gilroy) per il sapiente lavoro di “aggancio”. L’ottica attraverso cui considerare Rogue One un buon film è la riflessione sul sacrificio di un gruppo di ribelli che ha permesso a Skywalker e compagni in Una nuova speranza di compiere quell’atto eroico. 

Senza i protagonisti di questo spin-off, l’Impero sarebbe durato ancora a lungo. Così, il film acquista un senso.
Tuttavia, è davvero un peccato e va segnalato il fatto che, ad eccezione di Felicity Jones e di Donnie Yen, il resto del cast sia molto poco carismatico, Diego Luna in primis che tutto trasmette tranne coinvolgimento. 
Al di là di ciò, il film si colloca cronologicamente bene. Va riconosciuto il buon lavoro svolto e ricordato che sarebbe potuto essere molto peggio di com’è.
L’appuntamento, adesso, è a dicembre 2017 per Episodio VIII, che forse potrebbe intitolarsi Forces of Destiny.

martedì 6 dicembre 2016

La festa prima delle feste - Un piccolo cult mancato

Di Emanuele Paglialonga
 
 
Il 7 dicembre in Italia e il 9 negli Stati Uniti arriverà in sala, distribuito dalla Universal, La festa prima delle feste (Office Christmas Party), diretto da Josh Gordon e Will Speck.
In un loro precedente lavoro, Due cuori e una provetta, la coppia di registi aveva diretto un’altra coppia, che ritorna anche per questo film, quella formata da Jennifer Aniston e Jason Bateman.
Il cast è affollatissimo (Jillian Bell, Courtney B. Vance, Rob Corddry, Vanessa Bayer, Randall Park, Sam Richardson, Jamie Chung per citarne alcuni), ma lo schermo Jason e Jennifer lo dividono principalmente con T.J. Miller, Olivia Munn e un’eccezionale Kate McKinnon
 
Il centro principale della vicenda è il Christmas Party aziendale organizzato dal boss Clay (T.J. Miller)  dal suo fidato Josh (Jason Bateman). La loro azienda informatica non naviga in buone acque, e la festa di Natale potrebbe rivelarsi l’occasione di fare di nuovo felici gli impiegati e di accaparrarsi soprattutto le simpatie di Walter (Courtney Bernard Vance), pezzo grosso del settore con cui potrebbero chiudere un contratto milionario e risollevare così le sorti della compagnia. Come è naturale e anche scontato che sia per il genere, la festa andrà incontro a un’inevitabile degenerazione.

Apparentemente ci si potrebbe rapportare a questo film come con le svariate mediocri commedie che l’America continua a sfornare. Non è Frankenstein Junior, intendiamoci, ma come nel caso di Bad Moms, uscito in sala pochi mesi fa, e in generale come si dovrebbe fare per ogni film, è necessario prendere visione prima di, eventualmente, stroncare. 
 
 
Molto meno superficiale di quel che potrebbe sembrare, lo script de La festa prima delle feste trova la sua forza nel gestire venti fra personaggi principali e secondari, ognuno dei quali sfaccettato e con una credibile background story. Niente macchiette. Sembrerà poco, ma è in realtà una grande conquista.
La sceneggiatura di Justin Malen, Laura Solon e Dan Maze costruisce una situazione corale assolutamente ben calibrata, in grado di far simpatizzare lo spettatore senza grosse difficoltà coi personaggi che affollano lo schermo; spassosi anche i giochi e riferimenti cinematografici. 
Mancano però una visione e un genio comico travolgenti: le battute sono simpatiche, alcune gag fanno sorridere, un paio di situazioni fanno ridere, ma non c’è una scena o una trovata comica in grado di imprimersi nella memoria dello spettatore.
Eccezion fatta per le evitabilissime flatulenze di Kate McKinnon (delle quali, essendo lei una furia e un grande talento comico, non ha evidentemente bisogno), per il resto e per fortuna non si scade mai in banalità e orribili trovate. Ed è un merito. Il non proporre però nulla di rivoluzionario sul fronte comico dopo un così sapiente lavoro di scrittura e di struttura, è davvero un peccato.

La festa prima delle feste è, quindi, un buon lavoro che avrebbe potuto aspirare a diventare un piccolo cult.

lunedì 5 dicembre 2016

Una vita da gatto (di Kevin Spacey)

Di Emanuele Paglialonga


Dopo essere uscito in America lo scorso agosto, si appresta a fare il suo esordio in Italia mercoledì 7 dicembre, Una vita da gatto (Nine Lives) diretto da Barry Sonnenfeld e interpretato da Kevin Spacey, Jennifer Garner e Christopher Walken.  

Il film racconta la storia del miliardario Tom Brand (Spacey), interessato esclusivamente alle proprie ricchezze e alla costruzione di un nuovo grattacielo, gigantesco come il suo ego; poiché da troppo tempo trascura ormai gli affetti familiari, andrà incontro suo malgrado ad una punizione, il cui garante sarà un bizzarro gattaro (Walken): in seguito a un incidente, Tom si ritroverà imprigionato nel corpo del nuovo gatto di famiglia, mentre il suo corpo umano giace in coma in ospedale.
Potrà tornare alla sua vita di tutti giorni se riuscirà a essere prima di tutto un bravo animale domestico, e poi un bravo essere umano.

Il film non ha goduto di ottima fama negli States, gli incassi sono stati di circa 44 milioni di dollari: niente fuochi d’artificio.
Il film non è malvagio, ma l’interesse è generato evidentemente dal faccione che domina la locandina assieme alla foto del gatto, quello di Kevin Spacey. 

L’altra star è Christopher Walken, qui in un ruolo bizzarro, un po’ come ne La famiglia Fang, di Jason Bateman uscito in Italia alla fine di agosto. Il suo personaggio ricorda molto quello di un’altra non più giovane star, Steve Buscemi ne Mr. Cobbler e la bottega magica del 2014 (in Italia da luglio) di Tom McCarthy.
Lì Buscemi era un vecchio amico del protagonista, interpretato da Adam Sandler, sempre pronto a aiutarlo nei momenti di difficoltà, e sia in quello che in questo caso c’entrava la magia.

Sandler era un calzolaio che ogni volta che indossava le scarpe riparate con una vecchia macchina si trasformava nel loro proprietario. In Una vita da gatto la trasformazione avviene a seguito di un incidente durante una colluttazione, ma è permanente e vincolata al modo di comportarsi del protagonista, che rischierà anche di rimanere intrappolato per sempre in un corpo felino, proprio lui che i gatti li detesta. 

Si è di fronte a una commedia per famiglie godibile, in grado di affrontare con una leggerezza mai banale, tematiche complesse, dal rapporto padre-figlia, al senso da dare alle proprie esistenze.
Il rapporto tra la bambina ed il padre è reso con grande sensibilità e molto interessante e divertente è la scelta di far arrivare per prima lei a realizzare che, forse, dentro quel gatto si nasconde qualcuno di familiare.

Un film che riesce, infine, ad ammonire bonariamente gli spettatori sulle priorità delle nostre esistenze. 

sabato 3 dicembre 2016

È solo la fine del mondo - Juste la fin du monde

Di Egidio Matinata
 
 
Non è la prima volta che Xavier Dolan si affida ad un testo teatrale per un suo soggetto cinematografico; era già successo con Tom à la ferme, tratto da uno spettacolo teatrale di Michel Marc Bouchard.
Juste la fin du monde è tratto da una pièce di Jean-Luc Lagarce, testo che gravitava nella galassia del giovane autore canadese da almeno cinque anni.


La storia parla di Louis (Gaspard Ulliel), giovane scrittore di successo che da tempo ha lasciato la sua casa di origine per vivere appieno la propria vita, il quale però torna a trovare la sua famiglia con una brutta notizia.
Ad accoglierlo il grande amore di sua madre e dei suoi fratelli, ma anche le dinamiche nevrotiche che lo avevano allontanato dodici anni prima.

E non deve essere stato semplice l’approccio al testo, sia da quanto emerge dalle dichiarazioni degli attori, che di Dolan stesso:
<<Laddove un autore contemporaneo avrebbe depennato automaticamente tutti gli elementi superflui e ridondanti, Lagarce li manteneva, li celebrava. I personaggi, nervosi e intimoriti, nuotavano in un mare di parole talmente agitato che ogni sguardo, ogni sospiro tra le righe diventava – o sarebbe potuto diventare – l’equivalente di un momento di bonaccia in cui gli attori avrebbero fermato il tempo.>>


In realtà la tempesta emotiva che dovrebbe colpire lo spettatore, per buona parte del film è paragonabile più ad acquazzoni estivi che si risolvono in breve tempo, lasciando di nuovo spazio ai raggi del sole.
In altri momenti, invece, alcune battute pesano come macigni, riescono ad essere incisive e toccanti: la frase <<La prossima volta saremo più preparati>> della madre è una vera e propria pietra tombale su tutta la vicenda, sancisce la sconfitta collettiva di tutta la famiglia, poiché probabilmente una prossima volta non ci sarà più.

I personaggi sono tutti ben caratterizzati, ma anche facilmente “leggibili” dopo pochi minuti in cui vengono presentati: la giovane sorella (Léa Seydoux) audace, ribelle e attratta da Louis, il fratello rancoroso (un unico fascio di nervi con la faccia di Vincent Cassel), sua moglie, una succube e tremante Marion Cotillard, e infine la madre (Nathalie Baye), vera capofamiglia alla disperata ricerca di un successore che ne prenda il testimone, interiormente esausta ma capace ancora di tirare avanti la carretta.
Si avverte con più forza la coerenza della struttura nella sua totalità che nelle singole parti.
Set up e finale a parte, il film è costruito come una serie di incontri/scontri tra Louis e i membri della sua famiglia (tre collettivi e quattro individuali), in cui la massima aspirazione degli sfidanti può essere il pareggio (anche se il più delle volte è la sconfitta, sempre collettiva, ad avere la meglio), mentre la vittoria non è mai neanche in palio.


Juste la fin du monde è un buon film. Non ha la forza delle opere migliori del suo regista (Mommy e Laurence Anyways), definito giustamente uno “sciamano pop” ["Dolan è uno sciamano pop e allo spettatore resta il piacere di lasciarsi trasportare dalla sua magnifica sarabanda" (Francesco Boille, Internazionale)] e neanche la purezza e l’autenticità dei suoi primi film; vive in un limbo a metà tra questi due universi, coerente con se stesso e con le sue tante sfaccettature.
Sarà sicuramente etichettato come “film minore”, ma non sarà certo la fine del mondo.

Sully - Esperienza e responsabilità di un uomo umile

Quando in genere si tende a riportare sullo schermo eventi di portata storica, che siano di carattere disfattista, eroico, giudiziario o dal riflesso mediatico, si corre sempre il rischio di presentare fatti urlati, drammatizzati, trattati in modo superficiale.
Ma Sully è di tutt'altra parrocchia.
La vicenda che ruota attorno al volo pilotato da Chesley "Sully" Sullenberger il 15 gennaio del 2009 è piuttosto nota: quel giorno di gennaio, un airbus della US Airways, partito dall'aeroporto di La Guardia (NY) e diretto a Charlotte (Carolina del Nord), impattò nei cieli di New York con uno stormo di oche canadesi.
Il comandante del volo, Sully, si ritrova a dover prendere la migliore delle decisioni per poter salvare le 155 persone, tra passeggeri e i membri dell'equipaggio, tentando un ammaraggio di emergenza (poi riuscito) sul fiume Hudson.
 

Quello che Clint Eastwood (il regista del film) vuole esporre al pubblico è la mancanza di tatto e l'ostinazione di dover per forza accusare il comandante (interpretato da un meraviglioso Tom Hanks, che ha messo ad ottima prova ogni fibra del suo essere per poter prestare se stesso alla miglior rappresentazione del protagonista reale) di non aver fatto il meglio, di aver addirittura messo in pericolo tutti i passeggeri con una mossa azzardata.
Tuttavia, 208 secondi sono davvero pochi per poter prendere una decisione che sia un buon compromesso per la salvezza di tutti (quando l'azzardo, invece, è altrui) e solo un pilota con 40 anni di carriera può avere l'esperienza ed il sangue freddo di poterlo fare.
 

Come e perché si può e si deve tentare di tutto, appellandosi alle tecnologie di ultimo grido, per poter mettere un uomo, che ha svolto al meglio il suo lavoro, spalle al muro pur sapendo nel profondo che le alternative considerate valide avrebbero causato morte certa?
E come potrà mai sentirsi quest'uomo, di cui dei suoi 40 anni di carriera ne verranno valutati solo gli ultimi istanti, che viene scisso dai più come un eroe o come una specie di giocoliere?

Eastwood vuole che lo spettatore venga posto davanti allo scavo di questa vicenda processuale, dove i dettagli sono le parti più importanti per dipanare i dubbi, i sospetti, i pregiudizi, le ostinazioni; essi vengono dosati e somministrati ogni qualvolta vengano riproposti i 208 secondi che hanno fatto scaturire tutto quanto.
La vicenda, i fatti, le azioni vengono presentate senza urla, senza enfasi, in maniera più distaccata possibile.
Eastwood insiste per mostrare il rigore e il senso di responsabilità; non a caso le espressioni, i gesti ed le azioni sono contenute, non esprimono mai troppo o troppo poco di quello che potrebbero fare.
In Sully ogni componente, che sia una parola, un sentimento, uno sguardo, un dettaglio, ha una propria connotazione ed un proprio peso specifico.
Il vero Chesley "Sully" Sullenberger
Tutto ha una sua responsabilità, né più e né meno.
Ed è allarmante rendersi conto di quanto si sia più disposti e di quando sia più facile condannare e vedere del marcio in una persona solo perché potrebbe aver creato un danno di immagine, quando bisognerebbe essere fieri e prendere ad esempio il senso di responsabilità rispetto a ciò che si svolge e soprattutto verso le vite che si affidano nelle mani di una persona che non ha mai pensato alla sua immagine o a mere conseguenze egoistiche.