venerdì 31 marzo 2017

I Puffi: viaggio nella foresta segreta

Di Matteo Marescalco


Non siate bugiardi, è innegabile.
Ogniqualvolta si parla di Puffi, sono due i ricordi principali che affiorano.
"Noi puffi siam così, noi siamo puffi blu, puffiamo su per giù due mele poco più". Il jingle della canzone cantata da Cristina D'Avena, baby sitter della nostra infanzia, risuona nelle orecchie di ognuno di noi. Genitori costretti dai figli a guardare il cartone animato televisivo e giovani che sono stati svezzati dalle creature del fumettista belga Peyo.
I più maliziosi ricorderanno, senza dubbio, il celebre dialogo tratto da Donnie Darko in cui il protagonista discute sulla sessualità dei Puffi e sul ruolo di Puffetta, profilando per lei un poco onorevole compito all'interno della comunità. Ma non preoccupatevi, questo nuovo episodio aderisce unicamente alla prima tipologia di ricordo.


Una mappa misteriosa spinge Puffetta ad intraprendere un viaggio, in compagnia dei suoi migliori amici Quattrocchi, Tontolone e Forzuto. Scopo di quest'avventura? Attraversare la Foresta Segreta, densa di insidie e vietata categoricamente ai Puffi, e trovare un misterioso villaggio perduto, evitando che il perfido mago Gargamella arrivi per primo.
Tra dubbi ed insicurezze, i nostri Puffi impareranno qualcosa in più sulla loro identità e risolveranno il mistero su Puffetta.


Le strade intraprese dall'animazione sono abbastanza chiare.
Da un lato, dei prodotti rivolti principalmente al pubblico adulto (Valzer con Bashir, Persepolis, Anomalisa, Sausage Party, La mia vita da zucchina); poi, i prodotti di mezzo, rivolti ai piccoli ma totalmente fruibili anche dai più grandi (l'esempio di Disney, Studio Ghibli, Pixar, Aardman e Laika è encomiabile) e, infine, i film animati con un target più ampio: i bambini. Angry Birds, Sing, Pets, la saga di Madagascar sono più che degni dell'applicazione degli adulti, grazie a stratificazione di linee narrative e a particolari invenzioni legate all'elaborazione del racconto, ma restano prodotti rivolti soprattutto ad un pubblico di piccoli.
I Puffi estremizza questa tendenza.


Difficilmente, i più grandi riusciranno a non sbadigliare durante l'intera durata del film che funziona sul versante estetico grazie ad un'abbagliante esplosione di colori ma che presenta palesi limiti in fase di sceneggiatura.
Le buone idee non mancano, su tutte quella di presentare il lungometraggio come una sorta di documentario in diretta, ma pretendere più di un sano divertimento in famiglia sarebbe troppo.
Per un pomeriggio tutti insieme, all'insegna dell'avventura, I Puffi: Viaggio nella Foresta Segreta è il film da consigliare!

mercoledì 15 marzo 2017

La bella e la bestia - Quello che accade è una grande novità?

In un periodo in cui la Disney sta puntando molto sui film live-action, non ci si poteva esimere dal realizzare una versione di La bella e la bestia.
E c'è da dire che la fabbrica dei sogni disneyana se l'è cavata piuttosto bene con i live-action precedenti, tra cui Maleficent, Cenerentola e Il libro della giungla, tanto da poter avere un metro di paragone con questo film ed i futuri che verranno e dare luogo ad una programmazione da qui fino a quando vivremo, con titoli tra cui Mulan, Il re leone, Aladdin e via dicendo.
Ma se i film precedenti si sono caratterizzati per essere a sé stanti e sviluppare una propria storia con più punti di vista ed approfondimenti in più direzioni tenendosi ben lontani dall'essere la fotocopia umanizzata dei classici animati, La bella e la bestia di Bill Condon (Dreamgirls, Il quinto potere)pare proprio rientrare in quest'ultima categoria, interrompendo il continuum.
 
 
La storia (conosciuta a chi ha visto e amato il film del 1991, di Gary Trousdale e Kirk Wise) è quella di Belle (Emma Watson) che svolge la mansioni quotidiane nel suo villaggio francese senza mai staccare occhi e mani dai suoi amati libri e soprattutto senza mai smettere di fantasticare sulle storie che legge e sul suo futuro, rifiutando le avance di Gaston (Luke Evans), il mega-fusto più ambito della zona.
Andando alla ricerca del padre Maurice (Kevin Kline) che non è rientrato a casa dopo un viaggio in città, si imbatte in un cupo castello e in un'orrenda Bestia (Dan Stevens) che ha reso il padre prigioniero, mentre cercava rifugio dopo essersi perso nella foresta.
In realtà la bestia non è altri che un principe irrispettoso e viziato, trasformato in queste sembianze da una strega che, in passato, cercò riparo al suo castello: in cambio della sua inospitalità la strega, rivelatasi una fata, lo punì con una rosa: per spezzare l'incantesimo (che ha coinvolto anche tutti gli abitanti del castello) la Bestia dovrà trovare una fanciulla da amare e che lei lo possa amare a sua volta per quello che è, entro la caduta dell'ultimo petalo.
 
 
Se non fosse un film marchiato Disney, senza il cast stellare e tutti gli effetti speciali esistenti si potrebbe pensare di assistere ad un film fatto dai fan, una specie di cosplay ma in formato lungometraggio.
Come sopra detto, a differenza dei precedenti live action che sono stati creati solo basandosi sui film di animazione di riferimento e che pongono in essere delle differenziazioni notevoli (in Maleficient tutta la storia è incentrata su Malefica e sul suo passato più che su Aurora, in Cenerentola la protagonista ha una storia e un'introspezione psicologica più profonda e per la prima volta il principe è presente dall'inizio e finalmente si esprime) ne La bella e la bestia ogni personaggio, ogni movimento, ogni inquadratura, ogni battuta e ogni scenografia sono stati modellati fino alla precisione, fino a diventare una misera fotocopia dell'originale di 26 anni fa.

E se fino qua poteva anche andare forse bene il vedersi un film fotocopia vi si sono volute inserire piccole informazioni riguardo la madre di Belle e una canzone fatta cantare solo alla Bestia che ha solo peggiorato la sua parte.
Nella versione italiana, peraltro, il doppiaggio ci mette ampiamente del suo, risultando talvolta inadeguato, soprattutto nelle canzoni cantate da Belle, come se si fosse fatta una traduzione letterale dall'inglese, facendola coincidere a forza con il labiale della protagonista.
Niente rimane impresso nella mente dello spettatore, in special modo per chi conosce bene il primo film, tra cui la recitazione: tra attori protagonisti, comprimari e comparse varie (tra cui Ewan McGregor, Ian McKellen, Stanley Tucci, Emma Thompson), sembra che essi abbiano incanalato solo il 70% dell'impegno per svolgere in loro ruolo, giusto quel po' per dare l'umanità necessaria al personaggio. Esso risulta, quindi, sì umano ma solo nell'aspetto esteriore in quanto non vi è una vera e propria catarsi.
Emma Watson (che ha scelto da sé il personaggio di Belle, rifiutando quello di Mia in La la land) riesce ad immettere in Belle tutte quelle caratteristiche già proprie del cartone (l'autonomia personale, farsi rispettare in quanto persona ed in quanto donna e soprattutto far rispettare i propri sogni) ma senza mai convincere sino in fondo.
L'unico che sembra dare la parte migliore di sé è Luke Evans, che impersona un Gaston sfacciato, egoista e narciso quanto e più dell'originale.
 
 
La realizzazione più spettacolare, cioè quella concernente i costumi, le scenografie e gli effetti speciali (tra cui una Bestia realizzata in motion capture) è quella che più si adatta al clima favolistico che dovrebbe esprimere un film del genere e che aiuta lo spettatore a trovare quel po' di magia che si perde in tutto il resto del film, tranne un Stia con noi tutto svolto in una CGI che sembra dare luogo più ad una specie di pastrocchio, che un momento di gioia e divertimento.
Insomma, il rischio di vedere La bella e la bestia è, per chi conosce il film di 26 anni fa, di vederlo troppo carichi di aspettative e cadendo nell'inevitabile spirale dei confronti.

giovedì 9 marzo 2017

Kong: Skull Island - Il re è tornato

Ennesimo film su King Kong direste voi. Vero direi io.
Ma aggiungerei anche il fatto che si permette di essere diverso dai precedenti, fa bene e meno male.
Bisogna, tuttavia, chiarire un fatto: quando si tratta di rivisitazioni, riprese e quant’altro di un mito come Kong o di kolossal, si arriva ad un punto in cui descrivere il film quasi non ha più senso.
La storia del cinema ci ha insegnato che è una caratteristica intrinseca al cinema stesso quella di riproporre sempre le stesse vicende (di ambito storiografico, religioso, mitico, conosciute o comuni ai più) con l’ausilio delle nuove disposizioni tecnologiche e dotarle di luce innovativa.

 
 
Questa storia è ambientata all’inizio degli anni ’70, più precisamente nel 1973, quando la guerra in Vietnam sta volgendo al termine con la ritirata degli Stati Uniti.
Il colonnello Packard (Samuel L. Jackson) non perde l’occasione di buttarsi nuovamente nella mischia della guerra, accettando di seguire la spedizione di un gruppo di scienziati del progetto Monarch (che si occupa di trovare risposte a fatti misteriosi).
Con questo incarico, Packard si sente sollevato e lieto di poter dare un’altra opportunità ai suoi soldati per poter finalmente vincere una guerra (di qualsiasi natura essa sia, date le condizioni ignote della spedizione) e farli tornare in patria orgogliosi di se stessi.
A loro si aggiungono anche James Conrad (Tom Hiddleston), un avventuriere ingaggiato per il suo sangue freddo, e Mason Weaver (Brie Larson) una fotoreporter che decide di far parte della spedizione per iniziativa personale (e anche in termini di possibili scoop fotografici), una donna opposta alla classica D.I.D. (donzella in difficoltà come direbbe Filottete in Hercules).
L’obiettivo della comitiva targata Monarch è quello di raggiungere l’Isola del Teschio, sempre creduta esistente e di cui si hanno finalmente le prove concrete della sua esistenza grazie alle tecnologie satellitari avanzate.
 

King Kong non aspetta una molto per rivelarsi allo spettatore e ai partecipanti della spedizione, presentandosi più imponente e più furioso che mai.
Sebbene la sceneggiatura sia molto elementare e si basi su battute molto basilari e scontate, le due ore del film stanno in piedi grazie alla regia di Jordan Vogt-Roberts, proveniente dal circuito dei film indipendenti.
Il regista sottopone l’intero film agli anni’70 con un attaccamento quasi morboso, dalle fotografie scattate ai filmini amatoriali, dai vestiti ed i dispositivi tecnologici dell’epoca alla musica rock sparata a tutto volume per quasi tutto il tempo (specie nella scena di arrivo degli elicotteri a Skull Island che ricorda un po’ lo stile di Raoul Silva quando arriva nella residenza scozzese di Bond in Skyfall).
Le due ore del film sono contraddistinte da un puro dinamismo e da una completa esaltazione ed un pizzico di misticismo per l’ambiente che ospita gli avventurieri. I personaggi non hanno un passato da rivelare, né vi sono determinate unioni dettate dallo spirito di sopravvivenza che facciano presagire a sviluppi futuri: e francamente sono pensieri che una volta formulati, vengono subito accantonati, poiché distratti dagli eventi che si susseguono.
Kong: Skull Island è più un inno, un onore al re dell’isola, il vero protagonista del quale viene raccontata la storia delle sue origini e del suo ruolo da guardiano di quel posto sconosciuto al mondo che, suo malgrado, si trova minacciato dalle frustrazioni di un colonnello, che vede in lui un altro nemico, il nemico che non è riuscito a vincere nel Vietnam.
 

Kong: Skull Island sembra voler rimanere ancorato allo status di film di serie B, banale nel testo dialogico (con quell’ironia che non fa mai male, che pare ormai contraddistinguere ormai ogni blockbuster), mentre sono di tutt'altra parrocchia gli effetti visivi.
Girato ad alto budget, ha la sua forza intrinseca per non essere del tutto dimenticato e per non ergersi come film fotocopia del mito comune in circolazione. 
Che il binomio blockbuster-scene extra sia rispettato questa volta? Per chi ha pazienza di aspettare la fine dei titoli di coda...

Autopsy - Un horror da obitorio

Un film con un titolo così e dal genere horror non lascia presumere niente di buono ,ma anche niente di scontato.
È proprio questa la forza di Autopsy: ambientare un film horror in una sola location che non viene presa in considerazione tanto spesso, l’obitorio, e far ruotare 86 minuti attorno ad un’autopsia tutt’altro che di normale routine.
 

Tommy Tilden (Brian Cox) è un medico legale esperto e gestisce con suo figlio Austin (Emile Hirsch) un obitorio in Virginia.
Un giorno lo sceriffo del posto porta all’obitorio, in stato di emergenza, il cadavere di una ragazza dall’identità sconosciuta, dal nome fittizio di Jane Doe (Kelly Olwen), ritrovato nel seminterrato di una casa nel quale è avvenuto un omicidio plurimo.
Durante l’autopsia, il giovane corpo non fa che rivelare terrificanti e turbanti scoperte tra cui, in primis, il fatto che esso sia esteriormente intatto, mentre l’interno rivela tutt’altro.

Autopsy, in realtà, porta alla ribalta due differenti storie che hanno un punto in comune: la scoperta di avvenimenti del passato (più o meno lontano) e di problemi irrisolti.
Gli 86 minuti del film, narrano del rapporto padre-figlio e dei problemi irrisolti tra loro che, a mano a mano che si svolge l’autopsia di Jane Doe e con gli eventi soprannaturali annessi e connessi, vengono a galla e sono costretti ad affrontare.
Tommy fa il medico legale da tutta una vita ed è ormai insensibile a quello che il suo macabro lavoro comporta, mentre Austin lotta con i suoi conflitti interiori: da una parte vorrebbe prendersi cura di suo padre vedovo, mentre dall’altra vorrebbe anche evadere, affrontare il mondo ed evitare di fare per tutta la vita sempre lo stesso lavoro (un’eredità di famiglia) nella stessa città, in ciò motivato da Emma (Ophelia Lovinbond), la sua fidanzata.
Ma oltre a questa vicenda, c’è anche il passato che emerge dall’autopsia del cadavere: il corpo è un insieme di indizi tutti da scoprire, come se Tommy e Austin fossero degli investigatori immersi in un’indagine scientifica, ostacolata e sommersa da eventi dal carattere soprannaturale.
 

Come già detto, Autopsy è stato realizzato in una sola location (con una fugace aggiunta di due location esterne); l’obitorio.
La capacità del regista André Øvredal (Troll hunter) è quella di aver saputo dare a questo tipo di ambente, nella fase iniziale, un’atmosfera accogliente e confortevole, come se fosse un qualsiasi posto normale in cui lavorare a proprio agio, dando luogo ad un maggior contrasto e screzio quando ciò che circonda i protagonisti comincia ad andare per il verso sbagliato.
Testo visivo e testo sonoro riescono a funzionare sia uniti che in separata sede, facendo si che il film possa affidarsi all’una o all’altra entità, oppure ad entrambe contemporaneamente, facendo arrivare questa unione ad un climax progressivo, sofferto, inquietante e mai troppo estremo.
Inoltre, nella composizione visiva, Øvredal si focalizza molto sui dettagli, con campi molto ravvicinati ed atti a dare un senso ed un significato ad ogni inquadratura e ad ogni oggetto o soggetto a sua volta inquadrato.
 

Oltre agli attori principali, Brian Cox e Emile Risch, che riescono a dare prova di un’interpretazione che ha visto enorme professionalità nella preparazione al ruolo, tra ricerche ed approfondimenti riguardo il mondo della medicina legale, una nota di assoluto merito va a Kelly Olwen; non si valuta un attore solo quando interviene con la parola o con un’azione fisica, ma anche in base alla sua abilità nei momenti di staticità e, in questo caso, alla pazienza e alla concentrazione di interpretare un essere privo di vita.
Nella fattispecie, poi, bisogna dare onore al merito a Bella Cruickshank e Jemma Harwood per il trucco e le acconciature che hanno aiutato Kelly ad essere il più realistica possibile, e a Kristyan Mallet per le protesi, grazie alla quali è stato realizzato un manichino composto da diversi strati, per far si che l’autopsia potesse essere realizzata nella maniera più vicina alla realtà.

Banalmente potrebbe essere considerato come un film di serie b, ma bisognerebbe valutare la sua aspirazione a diventare un gran film horror, contraddistinto da un tema ed un’ambientazione forte, attori senza dubbio ottimi, pur considerando che si tratta di un film a basso budget.