giovedì 19 ottobre 2017

Rapunzel. La serie - Solo su Disney Channel!

Ambientato subito dopo le vicende del classico Disney Rapunzel - L’Intreccio della Torre e prima del corto d’animazione Le Incredibili Nozze, il Disney Channel Original Movie Rapunzel Prima del Si andrà in onda venerdì 20 ottobre alle ore 20.10 su Disney Channel (canale 613 disponibile solo su Sky) e anticiperà l’arrivo di Rapunzel La Serie che farà il suo debutto il 27 ottobre alle 20.10 e terrà compagnia al pubblico con un nuovo episodio ogni venerdì.

 

La Principessa si trova a dover fare i conti con la nuova vita a Palazzo.
Rapunzel infatti scopre che far parte della famiglia reale può essere soffocante e, desiderosa di maggiore libertà e nonostante l’amore che prova per Eugene, decide di rifiutare la proposta di matrimonio del ragazzo. Il suo irrefrenabile spirito libero e la sua naturale curiosità la porteranno, con l’aiuto dell’ancella Cassandra, a lasciare il castello di nascosto nel cuore della notte e giungere nel luogo in cui fu trovato il fiore che le donò i magici capelli. Qui accadrà qualcosa di inaspettato: dal terreno spunteranno delle spine e i lunghi capelli biondi della principessa riprenderanno a crescere. Mentre tutti nel regno si preparano all’incoronazione di Rapunzel, una figura misteriosa raggiungerà il luogo da cui proviene il magico fiore…

Il pubblico ritroverà i personaggi più amati del classico d’animazione, come Eugene, il tenero camaleonte Pascal, il simpatico cavallo Maximus a capo delle guardie reali e gli strambi personaggi della Locanda del Brutto Anatroccolo, mentre farà il suo debutto Cassandra, la leale ancella di corte.

Le avventure di Rapunzel saranno accompagnate anche da alcune canzoni originali create dal compositore e vincitore di 8 premi Oscar® Alan Menken (La Sirenetta, Aladdin, Pocahontas).

Rapunzel Prima del Si e Rapunzel la Serie aspettano i telespettatori per nuove e divertenti avventure dal 20 ottobre ogni venerdì alle ore 20.10 solo su Disney Channel.

martedì 17 ottobre 2017

La battaglia dei sessi - La conferenza stampa con i registi Jonathan Dayton e Valerie Faris!

Di Matteo Marescalco
 
 
Questa mattina, l'hotel The Westin Excelsior di Via Veneto ci ha ospitati in occasione della conferenza stampa di La battaglia dei sessi, il film con cui Jonathan Dayton e Valerie Faris tornano alla regia, cinque anni dopo Ruby Sparks.

Girato in pellicola 35mm per riprodurre i colori e la consistenza degli anni '70, La battaglia dei sessi è incentrato sulle figure di Billie Jean King, tennista californiana che si batte per ottenere, a parità di mansioni, la stessa retribuzione degli uomini, e di Bobby Riggs, ex campione ormai in pensione.
Riggs, maschilista convinto, decide di sfidare a tennis Billie Jean King per dimostrare, una volta per tutte, che gli uomini sono superiori alle donne per resistenza fisica e mentale e che, quindi, in tal modo, meritano una retribuzione maggiore delle donne.
Il 20 Settembre 1973 scendono in campo i due campioni e va in scena una delle partite di tennis più famose della storia: la battaglia dei sessi.
 

Nel film, i due protagonisti, Emma Stone e Steve Carell, interpretano due campioni del tennis, Billie Jean King e Bobby Riggs. Secondo i registi: «Steve ed Emma hanno compiuto un ottimo lavoro sui personaggi. Per noi, prima di ogni cosa, era importante rappresentare il gioco del tennis. Abbiamo visionato molte partite del periodo. Ovviamente, per quanto Emma e Steve fossero bravi, non potevano mai raggiungere la stessa perfezione di un vero tennista. Abbiamo usato controfigure ma anche loro hanno dovuto visionare i match dell'epoca per riprodurre lo stile dei tennisti degli anni '70».

Sulla scelta di girare in pellicola, ha speso qualche parola Valerie Faris: «Abbiamo girato in 35mm. E' stato molto importante per noi poter ricreare la ricchezza dei colori e l'atmosfera degli anni '70. Conferire al film il giusto aspetto e la giusta sensazione era un nostro grande obiettivo. Le bobine da 11 minuti, poi, ci imponevano la necessità di una maggiore concentrazione. Abbiamo anche utilizzato obiettivi e zoom che si usavano in quegli anni, per una maggiore esigenza di realismo».
 
In relazione al quesito sulla scelta degli attori, Jonathan Dayton ha detto: «Steve ed Emma sono subito stati la nostra prima scelta. Siamo stati molto felici di lavorare con loro. Riguardo, invece, al trattamento che abbiamo riservato a Bobby Riggs (il personaggio interpretato da Steve Carell, ndr), abbiamo voluto seguire la filosofia di Billie Jean: rispettare l'avversario. Oggi viviamo in un mondo estremamente polarizzato, tutti puntano il dito contro qualcuno e urlano contro il nemico. Noi abbiamo voluto rispettare l'avversario e non sottovalutare le sue capacità. Dopo questo match, infatti, Billie Jean e Bobby sono diventati amici».

 
 

E, ancora, sulla verosimiglianza nella rappresentazione delle partite di tennis: «Abbiamo studiato i match originali. Abbiamo utilizzato un consulente nel campo del tennis perché giochiamo a tennis da dilettanti e, ovviamente, non siamo a tal punto esperti. Diciamo che ci ha aiutati per quanto riguarda la regia, il design e le modalità di ripresa del match. Il vero allenatore di Bobby Riggs, tra l'altro, ha aiutato Carell a seguire lo stile di Bobby. Ci teniamo a precisare anche che tutte le scene che vedrete sono reali. Non ci sono immagini generate in CG».

L'aspetto interessante del film (su cui ci soffermeremo maggiormente nella recensione) riguarda il fatto che al centro de La battaglia dei sessi non vi sia unicamente lo scontro uomo/donna ma che entrino in ballo una serie di argomenti secondari in relazione allo scontro mediatico, al modo in cui la moda contribuiva a costruire le figure dei tennisti e, soprattutto, alla rappresentazione di sé.
 
A tal proposito ha detto la Faris: «La complessità della storia ci ha completamente rapiti. Gli aspetti presenti nel film sono davvero numerosi: le vicende personali di Billie Jean, quello che lei viveva in privato, il modo in cui il suo matrimonio si stava sviluppando ed il fatto che, nonostante le problematiche private, Billie continuasse a lottare per i pari diritti delle donne. E' stato interessante intrecciare questi vari aspetti. Volevamo, inoltre, attirare anche un pubblico quanto più ampio possibile, formato non soltanto da chi ritiene che sia necessario dare alle donne pari trattamento economico. Volevamo favorire nelle persone una migliore comprensione delle questioni trattate. Quindi, diciamo che bilanciare i vari aspetti è stata la difficoltà maggiore perché noi volevamo evitare che si trattasse di un semplice film sul tennis. Ma anche che si trattasse di un semplice film su Billie Jean King. La battaglia dei sessi parla di Billie, di Bobby e del modo in cui tutte le persone riescono a trovare l'amore. Billie era costretta a vivere in una contesto che reprimeva l'omosessualità. La cultura dell'epoca l'aveva spinta a mantenere quel segreto».

La battaglia dei sessi, diretto da Jonathan Dayton e Valerie Faris, arriverà al cinema il 19 Ottobre, distribuito da 20th Century Fox.

La battaglia dei sessi, ma non solo tennis!

Di Matteo Marescalco
 
 
Nel 2006, Little Miss Sunshine sdoganava al grande pubblico il cinema americano indipendente, rivelandosi un enorme successo che avrebbe prodotto consistenti guadagni per la Fox Searchlight, responsabile dei diritti di distribuzione del film, che firmò uno degli accordi più remunerativi della storia del Sundance Film Festival. Di fronte ad un budget di 8 milioni di dollari, il film ne avrebbe guadagnati 100, portando a casa anche quattro nomination agli Oscar e due vittorie (per la miglior sceneggiatura originale ed il miglior attore non protagonista).
Dopo una carriera precedente al cinema dedicata a pubblicità, cortometraggi e video musicali (Dayton e Faris sono conosciuti a livello internazionale soprattutto per aver realizzato video per Oasis, R.E.M., Ramones, Britney Spears e Red Hot Chili Peppers), il nome della coppia inizia ad affermarsi prepotentemente nell'immaginario collettivo.
 
 

Nel 2017 è la volta di La battaglia dei sessi, film che rinnova la collaborazione con Steve Carell e annovera nel cast anche Emma Stone, Andrea Riseborough, Bill Pullman ed Alan Cumming.
Girato in pellicola 35 mm per riprodurre i colori e la consistenza degli anni '70, il film è incentrato sulle figure di Billie Jean King, tennista californiana che si batte per ottenere, a parità di mansioni, la stessa retribuzione degli uomini, e di Bobby Riggs, ex campione ormai in pensione.
Riggs, maschilista convinto, decide di sfidare a tennis Billie Jean, per dimostrare al mondo, una volta per tutte, la superiorità degli uomini sulle donne, per resistenza fisica e gestione dello stress.
Il 20 Settembre 1973 è la data che segna uno spartiacque nella storia: scendono in campo Billie Jean King e Bobby Riggs in quella che sarebbe stata definita la battaglia dei sessi, una delle partite di tennis più famose della storia.
 

Diventa subito evidente quanto al centro di questo film, confezionato come un prodotto indipendente ma scritto tenendo conto della narrazione hollywoodiana (e, soprattutto, rivolto ad un largo pubblico), non ci sia soltanto il tennis né, tantomeno, la semplice questione uomini-donne.
Piuttosto che il match di tennis, ad interessare i due registi sono le modalità di rappresentazioni dei personaggi che entrano in gioco e, soprattutto, la costruzione mediatica edificata attorno ad essi.
Bobby Riggs è una creatura mediatica, occupa le copertine delle riviste (una fotografia lo ritrae nudo con una racchetta a coprirgli i genitali), è consapevole di quanto sia importante la sua immagine, soprattutto in chiave sessuale. Viceversa, la più debole immagine pubblica di Billy Jean è strettamente connessa ad una sua evoluzione sessuale che troverà un suo compimento lungo tutta la durata de La battaglia dei sessi. Ampia attenzione viene anche dedicata al mondo della moda.
In quello che sarebbe potuto essere un film occupato, per lo più, dalla questione dei pari diritti (e che poteva essere trasformato, quindi, in un mero pamphlet politico), un ruolo fondamentale dello scontro è attribuito ai responsabili di moda e della creazione delle divise sportive indossate da Riggs e King.
Piuttosto che su un campo da tennis, la battaglia si gioca in spazi chiusi: in camere d'albergo e nella abitazioni private, in cui si consumano anche gli scontri tra moglie e marito.
 

La battaglia dei sessi si concentra soprattutto sul dietro le quinte e sulla discrasia tra realtà ed evento mediatico. La stessa figura di Bobby Riggs è legata ad una sua rappresentazione nettamente iperbolica che finisce per renderlo quasi simpatico (o, comunque, non propriamente ostile) agli occhi del pubblico. I veri cattivi, quelli che credono davvero nella superiorità degli uomini sulle donne si situano altrove. In tal senso, attenzione al personaggio interpretato da Bill Pullman, vero villain del racconto.
Pur non essendo ai livelli di Little Miss Sunshine e di Ruby Sparks, quest'ultimo film di Jonathan Dayton e Valerie Faris fa presa sul pubblico e riesce a conquistarlo senza troppa difficoltà, senza assolvere né condannare. Semplicemente, raccontando un fatto storico.

sabato 14 ottobre 2017

It - I bambini che affrontarono il Diavolo

Di Matteo Marescalco


Partiamo da un presupposto difficilmente controvertibile.
IT di Stephen King è un pilastro dell'immaginario collettivo ed è impossibile che chi ha definito fino ad una ventina di anni fa l'autore del Maine come un maestro della prosa post-alfabetizzata possa negare un dato del genere.
A maggior ragione in un periodo come il nostro, dominato dalla nostalgia degli anni '80 e in cui fioccano gli omaggi alla cultura di quel periodo. Super 8 e Stranger Things non sono altro che derivazioni di quell'universo creato da E.T., Explorers, Gremlins, Mamma ho perso l'aereo e I Goonies.
Il paradosso è che un capostipite come IT, nella versione di Andy Muschietti, si ritrovi a percorrere lo stesso binario intrapreso da una serie-tv come Stranger Things. I fratelli Duffer imitano gli anni '80 e gli anni '80 nei 2000 si sono ritrovati ad imitare i fratelli Duffer. Ma cortocircuiti del genere, in un periodo che riflette su se stesso, sul proprio nostalgico passato e, soprattutto, sul suo futuro, sono diventati la norma.
 

Ciò che è sicuro è che, come accade con ogni romanzo fiume che si lega in modo così saldo all'immaginario collettivo, ognuno di noi ha dato vita ad una personale rilettura di IT, che vive nel rapporto con il proprio pubblico.
Andy Muschietti non era chiamato semplicemente a tradurre in immagini l'universo kinghiano (che più di ogni altro si è prestato a (ri)letture del genere) ma soprattutto a misurarsi con un precedente adattamento per la tv (quello degli anni '90) legato alla figura iconica di Tim Curry ed incastonato nel cuore dei puritani e con un'idea, che sia ben precisa o dai contorni sfumati poco importa, che ogni fan di Stephen King si è fatto del romanzo.

 
 

La storia è nota: tutto ha inizio da una barchetta di carta di giornale costruita da Bill Denbrough per il fratellino Georgie, che segue la corrente d'acqua creata da un diluvio torrenziale lungo le vie di Derry, fino a precipitare all'interno di un tombino, da cui fuoriesce Pennywise, un mostro che esiste dal principio dei tempi e che ogni 27 anni rinasce per placare la sua fame millenaria.
Inizia, quindi, una battaglia lunga 28 anni, tra il Club dei Perdenti (Bill, Ben, Beverly, Eddie, Stanley, Mike e Richie) e Pennywise. Applicando al romanzo di King una sintesi estrema, la vicenda principale è questa.
Contornata dalla presenza di una cittadina dai cui anfratti escono mostri e multiformi follie, esistenze turbate, pezzi rock e coinvolgenti ballate country. Con unico caposaldo: (giovani) uomini in lotta con il lato oscuro del (loro) mondo, alle prese con una realtà che viene ingurgitata, digerita e sputata dal Male.
Personaggi che gareggiano (in sella alla propria Silver) contro il diabolico Tempo, provando ad intervenire sulla terribile linearità delle vicende, sperando nell'aiuto di una qualche Tartaruga, arbitro super partes delle vicende universali che può semplicemente palesarsi come fede infantile e scriteriata.
"E' un meccanismo perfetto e bilanciato di voci ed echi che fanno da rotelle e leve, onirico orologio che rintocca oltre il vetro degli arcani che chiamiamo vita (...). Un universo di orrore e smarrimento circonda un palcoscenico illuminato, sul quale noi mortali danziamo per sfidare le tenebre".
 
 

Uomini ordinari in preda ad eventi straordinari. Una semplice elaborazione del lutto si trasforma in fuga dalla follia del Male che, prima di ogni cosa, alberga dentro ognuno di noi. A questo punto, diventa pleonastico continuare ad esplorare un romanzo potenzialmente in grado di fornire innumerevoli spunti di riflessione.
Il film di Andy Muschietti applica un'inevitabile normalizzazione e linearizzazione del testo narrativo, collocandosi nell'alveo del cinema di genere horror. Tutte le divagazioni originarie vengono eliminate a favore della costruzione di un racconto che alterna il proprio focus sulla genesi del rapporto d'amicizia tra i singoli componenti del Club dei Perdenti e sulle apparizioni di Pennywise.
Il primo punto è perfetto: ci sono abbracci, lacrime, paure, confessioni, sangue, e sguardi che non lasciano mai indifferenti (la sequenza del primo incontro tra Ben e Beverly è un tuffo al cuore).
Nell'ambito del secondo punto, è stato un peccato aver ridotto il mostro ad un semplice mostro, da combattere fisicamente, nell'ultimo atto del film. Ma, in fin dei conti, era davvero difficile fare meglio e IT, evitando banali paragoni con il materiale di partenza, funziona benissimo nella sua semplificazione.

In questo adattamento del 2017, Bill ha battuto il Diavolo. Aspettiamo con trepidazione Settembre 2019, sperando che le difficoltà della vita non abbiano intaccato la purezza dei Perdenti.  

giovedì 12 ottobre 2017

L'uomo di neve - La recensione

Di Egidio Matinata
 
 
L’obiettivo del thriller, dei gialli e del mistery in generale è ricreare l’ordine all’interno del caos.
L’ordine trasmette sicurezza, genera appagamento e rimette ogni cosa al posto che le spetta.
L’uomo di neve non fa niente di tutto ciò.
O meglio, lo fa in parte a livello di trama, ma lasciando comunque lo spettatore disorientato e solo, in balìa del gelo norvegese.
 

Harry Hole, detective uscito dalla penna di Jo Nesbo, è un ‘indagine-dipendente’ come Sherlock, ha la voglia di vivere di Rust Cohle, la delicatezza dei personaggi di Don Winslow e un senso di colpa che parte da Oslo e arriva al Giardino dell’Eden.
Un identikit che si potrebbe applicare ad un buon 70% degli investigatori in circolazione, e non sarebbe stato affatto male se il film avesse seguito le impronte d’inchiostro lasciate dal personaggio, magari non originalissimo ma certamente riuscito.
L’Harry Hole di Michael Fassbender, in una delle peggiori interpretazioni della sua carriera, somiglia vagamente al personaggio letterario (fisicamente, nel modo di fare e nel mostrare i demoni interiori con cui combatte abitualmente), ma tutto sembra essere abbozzato, poco approfondito, dato per scontato.
Questo discorso può essere esteso a tutte le altre componenti del film, nonostante il team possa vantare nomi di tutto rispetto, se non altisonanti: dalla regia (Alfredson) al montaggio (Thelma Schoonmaker), dalla produzione (Scorsese) al cast (Fassbender, J.K. Simmons, Rebecca Ferguson, Charlotte Gainsbourg, Toby Jones).
 
 

Se si dovesse individuare un punto debole in particolare del film, sarebbe senz’altro la sceneggiatura.
Solitamente quando viene adattato un libro al cinema, i puristi tendono a lamentarsi di un’eccesiva semplificazione della materia letteraria (cosa che, rimanendo strettamente alla trama, è inevitabile), mentre in questo caso il plot principale viene sovraccaricato eccessivamente con linee di trama secondarie che non si amalgamano bene e rendono il film sfilacciato, come se ogni scena fosse a sé stante, scollegata dalle altre. Molte di queste linee non giungono ad una vera e propria conclusione, così come non lo fanno gli archi narrativi di quasi tutti i personaggi, che diventano così mere pedine da sfruttare per una “progressione” narrativa.
A farne le spese, in fin dei conti, è la tensione. E se in un prodotto del genere viene meno la tensione e subentra la noia, il danno è fatto e ogni discorso ulteriore diventa sterile speculazione.
 

Il vero mistero, in questo caso, riguarda il film in sé: com’è possibile che un progetto che ha alle spalle nomi di questo calibro, fallisca quasi in ogni sua componente? Com’è possibile che un regista come Tomas Alfredson (Lasciami entrare, La talpa) abbia fatto un film così sgangherato?
Aspettando che l’ordine faccia il suo dovere e che la verità venga a galla, rimaniamo nel caos post visione, un po’ stupiti, un po’ frustrati e molto delusi.

martedì 10 ottobre 2017

Festa del cinema di Roma - Il programma della dodicesima edizione!

Si è tenuta oggi la conferenza stampa della Festa del cinema di Roma.
La dodicesima edizione della Festa si svolgerà dal 26 ottobre al 5 novembre 2017 all’Auditorium Parco della Musica e in altri luoghi della Capitale.
La Selezione Ufficiale della Festa del Cinema ospita 39 film, con l’obiettivo di offrire qualità ed eccellenza in tutte le espressioni cinematografiche.
Tra i film, oltre Hostiles di Scott Cooper che aprirà la Festa, ci saranno Last Flag Flying di Linklater, I, Tonya di Gillespie, Stronger di David Gordon Green, Logan Lucky di Soderbergh e Detroit della Bigelow.
La maggior parte dei film della Festa sono legati da due temi importanti: la musica e lo sport.
Non a caso ci sarà un gran evento sportivo per la proiezione di Borg McEnroe.
Ci saranno 3 film italiani: Una questione privata dei Taviani, Nysferatu di Mastrovito e The Place di Genovese (in chiusura).
Un ruolo importante sarà, anche quest’anno, svolto dagli Incontri Ravvicinati con autori, attori e protagonisti della cultura italiana e internazionale (tra cui David Lynch che riceverà il premio alla carriera dalle mani di Paolo Sorrentino), dalla Retrospettiva dedicata a "La scuola italiana" (Umberto D., 81/2, La caduta degli Dei, L'armata Brancaleone), dai Restauri e Omaggi (Borotalco, Miseria e Nobiltà).
Da segnalare la sezione Riflessi, composta da film come Dieci storie proprio così, Jane, Il mondo in scena. Spoleto - 60 anni di festival, Salvatrice - Sandra Milo si racconta.
La sezione I film della nostra vita, quest'anno, sarà dedicata ai musical. Si potranno quindi, trovare, a La casa del Cinema, le proiezioni di film quali Sette spose per sette fratelli, West side story, Spettacolo di varietà e Cappello a cilindro.
 
 

Dati alla mano, questa Festa sarà composta da 39 film della Selezione Ufficiale (di cui 3 in collaborazione con Alice nella città), 6 di Tutti ne parlano, 4 de Gli eventi speciali, 12 incontri ravvicinati, 4 preaperture, 4 Restauri e omaggi più una retrospettiva, 11 Riflessi, 7 Film della nostra vita, 17 altri eventi e 31 paesi partecipanti.

SELEZIONE UFFICIALE

- ABRACADABRA di Pablo Berger

- LOS ADIOSES | THE ETERNAL FEMININE di Natalia Beristain

- IN BLUE di Jaap van Heusden

- BORG MCENROE di Janus Metz

- CABROS DE MIERDA | THE YOUNG SHEPHERD di Gonzalo Justiniano

- C'EST LA VIE! (LE SENS DE LA FÊTE) | C'EST LA VIE! – PRENDILA COME VIENE di Eric Toledano, Olivier Nakache,

- CUERNAVACA di Alejandro Andrade Pease

- DETROIT di Kathryn Bigelow

- FERRARI: RACE TO IMMORTALITY | FERRARI: UN MITO IMMORTALE di Daryl Goodrich,

- O FILME DA MINHA VIDA | THE MOVIE OF MY LIFE di Selton Mello

- HIKARI | AND THEN THERE WAS LIGHT di Tatsushi Omori,

- HOSTILES di Scott Cooper

- THE HUNGRY di Bornila Chatterjee,

- I, TONYA di Craig Gillespie

- KANOJO GA SONO NA WO SHIRANAI TORITACHI | BIRDS WITHOUT NAMES di Kazuya Shiraishi

- KŘIŽÁČEK | LITTLE CRUSADER di Václav Kadrnka

- LAST FLAG FLYING di Richard Linklater

- LOGAN LUCKY di Steven Soderbergh

- LOVE MEANS ZERO di Jason Kohn

- MADEMOISELLE PARADIS di Barbara Albert

- MARIA BY CALLAS, IN HER OWN WORDS di Tom Volf

- MON GARÇON | MY SON di Christian Carion

- MUDBOUND di Dee Rees

- NADIE NOS MIRA | NOBODY'S WATCHING di Julia Solomonoff

- ONE OF THESE DAYS di Nadim Tabet

- THE ONLY LIVING BOY IN NEW YORK di Marc Webb,

- PRENDRE LE LARGE | CATCH THE WIND di Gaël Morel

- UNA QUESTIONE PRIVATA di Paolo Taviani, Vittorio Taviani,

- SCOTTY AND THE SECRET HISTORY OF HOLLYWOOD di Matt Tyrnauer

- SKYGGENES DAL | VALLEY OF SHADOWS di Jonas Matzow Gulbrandsen

- STRONGER di David Gordon Green

- TORMENTERO di Rubén Imaz

- TOUT NOUS SÉPARE di Thierry Klifa

- TROUBLE NO MORE di Jennifer Lebeau

- LA VIDA Y NADA MÁS | LIFE & NOTHING MORE di Antonio Méndez Esparza

- WHO WE ARE NOW di Matthew Newton


In collaborazione con "Alice nella città"

- THE BREADWINNER di Nora Twomey

- MAZINGER Z INFINITY | MAZINGA Z INFINITY di Junji Shimizu

- SATURDAY CHURCH di Damon Cardasis


TUTTI NE PARLANO (spazio dedicato a titoli che arrivano alla Festa dopo esordi internazionali)

- BABYLON BERLIN di Tom Tykwer, Henk Handloegten, Achim von Borries,

- INSYRIATED di Philippe Van Leeuw

- MZEVLEBI | HOSTAGES di Rezo Gigineishvili

- THE PARTY di Sally Potter

- UNE PRIÈRE AVANT L’AUBE | A PRAYER BEFORE DAWN di Jean-Stéphane Sauvaire

- PROMISED LAND di Eugene Jarecki



EVENTI SPECIALI

- THE PLACE di Paolo Genovese 

- NYSFERATU – SYMPHONY OF A CENTURY di Andrea Mastrovito,

- DA'WAH di Italo Spinelli (scelto da Bernardo Bertolucci)

- SPIELBERG di Susan Lacy



INCONTRI RAVVICINATI

- David Lynch
- Xavier Dolan
- Vanessa Redgrave
- Jake Gyllenhaal
- Phil Jackson
- Ian McKellen
- Michael Nyman
- Chuck Palahniuk
- Christoph Waltz
- Nanni Moretti
- Gigi Proietti
- Rosario Fiorello



PREAPERTURE

- MORAVIA OFF di Luca Lancise

- TERAPIA DI COPPIA PER AMANTI di Alessio Maria Federici

- THE ITALIAN JOBS: PARAMOUNT PICTURES E L'ITALIA di Marco Spagnoli,

- LA RAGAZZA NELLA NEBBIA di Donato Carrisi




Si possono trovare maggiori approfondimenti sul sito della Festa del cinema di Roma.

giovedì 5 ottobre 2017

Blade Runner - Road to 2049

Dopo Arrival, Denis Villeneuve si rimette in gioco. Questa volta, assumendosi tutti i rischi che un sequel, di un film cult come Blade Runner, può comportare.
Un film come Blade Runner 2049 deve essere in grado di assumersi delle responsabilità mica da ridere e deve riconoscere di avere il fardello del paragone con il primo film.
E, riguardo a questi aspetti, Villeneuve ha veramente pensato a tutto.
 
 
Blade Runner 2049 è film sostanzialmente autonomo che prende in prestito solo parte della trama del film precedente, per creare un legame con esso, ma senza esserne del tutto dipendente. Sia narrativamente che (soprattutto) visivamente, il film, ambientato nel 2049, non si discosta poi così tanto dal nostro presente, diventando quasi a noi più contemporaneo rispetto al primo capitolo, che era ambientato nel 2019.
Anche se, come spiegato sopra, la definizione "primo capitolo" non avrebbe quasi modo di esistere.
Lo stile visivo si accosta più al modo di fare di Villeneuve: il regista ha compiuto una saggia scelta, rimanendo fedele alla sua impronta, alla sua firma registica, senza cadere nella trappola del sentirsi in dovere di omaggiare il film precedente, in una qualche maniera.
 
Blade Runner 2049 è contraddistinto da molti campi lunghi, da un respiro visivo rispetto al film del 1982, in cui ogni inquadratura è sempre farcita. In questo senso, le inquadrature di Villeneuve sono quasi ridotte all'essenziale: inquadrature essenziali ma significanti, in cui ogni significato è stato studiato, capito ed intrecciato. Forma e contenuto che danno luogo ad una moltitudine di segni così fluidi, da essere quasi paragonabili alle note musicali di uno dei migliori spartiti.
Il film di Villeneuve dipende essenzialmente da un altro fattore, oltre la regia: la fotografia di Roger Deakins.
Nominato per ben tredici volte agli Oscar (senza mai vincerne uno), il direttore della fotografia britannico ha dato sfogo a tutta la sua bravura, la prova provata delle sue qualità e capacità.

 

Rispetto al primo film, Blade Runner sembra quasi essere l'unione di due fotografie differenti: una, fredda, glaciale, di una pulizia quasi ospedaliera (che ricorda quella Skyfall); l'altra, sporca, ricca di sbavature, desertica, turbolenta (alla Non è un paese per vecchi).
Blade Runner 2049 è forse dotato di una morale più profonda rispetto al film che lo precede; una morale espressa per lo più a monologhi, domande lasciate lì, a vagare nello spazio infinito. Forse, la debolezza del film è, appunto, eccedere in monologhi troppo filosofeggianti che portano lo spettatore a miticizzare i personaggi che sta vedendo, in una contrapposizione bene/male che sale e scende come uno yo-yo.
Infine, da sottolineare la colonna sonora di Jóhann Jóhannsson e di Hans Zimmer. Il tocco di Zimmer è nettamente palpabile, con i suoi bassi e nel dare rilievo, con la maestria che lo contraddistingue, alle parti salienti del film. Una colonna sonora ricca di attese, che accompagna la conoscenza del passato, della propria vita (anche se più vera del vero). Un'apripista alla ricerca della verità e della certezza.