domenica 21 gennaio 2018

The Post - Una lezione di coraggio per il presente

Nel 2018 è ancora possibile poter parlare di un film di Steven Spielberg, senza cadere nella banalità?
La risposta è no.
Perché volente o nolente, ogni descrizione, ogni scritto, ogni trattato non riusciranno mai ad essere totali, ad esprimere a pieno il suo cinema.
Il primo dei due film che vede Spielberg tornare protagonista nel 2018 (il secondo è Ready Player One, in uscita il 29 marzo) racconta l'America degli anni '70 per raccontare quella attuale.
The Post non è solo la narrazione dello scandalo dei Pentagon Papers (documenti top-secret di 7000 pagine del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d'America,  studio approfondito sulle strategie e i rapporti del governo federale con il Vietnam nel periodo che va dal 1945 al 1967) che avvenne nel 1971, prima di quello Watergate; è molto, molto di più.
 
 
L'apparenza da thriller politico lascia spazio al dramma personale e familiare (riferito anche alla redazione del The Washington Post): meno battaglia per la libertà di stampa e più battaglia per la parità dei sessi ed una presa di coscienza a riguardo, meno era Nixon più era Trump.
Katharine Graham (Meryl Streep) è la prima donna alla guida del The Washington Post, fatto anomalo in una società dove il potere è di norma maschile, detentrice di grande coraggio tanto quanto quello di Ben Bradlee  (Tom Hanks), scostante e testardo direttore del giornale.
 
 
Quello tra Kay e Ben è un rapporto lavorativo fatto di discussioni e tensioni ma legato a doppio filo dalla voglia di lottare contro le istituzioni, di garantire la libertà di stampa e la sua necessità, mettendo a rischio la propria carriera e la loro stessa libertà.
Il lavoro di Spielberg non è tanto quello di raccontare i fatti riguardanti la pubblicazione dei Pentagon Papers e di accontentarsi così, ma di fare leva sul fatto di più di quarant'anni fa per promulgare un discorso quanto più attuale possibile.
L'occhio analitico ed espressivo del regista americano vuole manifestare quanto sia grande la responsabilità dei politici e dei media nei confronti del proprio paese, quando sia necessaria la libertà di stampa, mostrando la lotta all'interno di un giornale che deve decidere della sua vita e di quelle altrui (con l'aggiunta di interpretazioni eccellenti sia di protagonisti che di comprimari). 
 
 
La macchina da presa danza, rendendo spazi angusti e ristretti come se fossero enormi piste da ballo, mostrando tensione nella sua narrazione visiva (elemento sempre precipuo) che forse pochi altri film dall'impronta giornalistica sanno dare.
Spielberg mostra come un rapporto tra il governo ed i propri cittadini si basi su degli ingranaggi che, se non sono perfettamente oliati, disposti e concatenati, corre il rischio di incrinarsi sempre più e di andare incontro al collasso.
Macchine al servizio del paese, rotative che ne decidono le sorti, una stampa a caratteri mobili che deve essere sempre consapevole del proprio potere e coscienziosa delle proprie libertà.
Giornali che si danzano sinuosi come il movimento di una pellicola mentre viene proiettato un film, stampati e distribuiti a velocità indicibili con il parallelismo vigente ai media odierni, sempre più competitivi, sempre più veloci, sempre meno attenti e sempre più fuori dall'ottica della propria coscienza.

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