mercoledì 30 novembre 2016

La stoffa dei sogni, e di un film nobile

di Emanuele Paglialonga


Arriverà in sala giovedì 1 dicembre La stoffa dei sogni, lungometraggio diretto da Gianfranco Cabiddu e interpretato da Sergio Rubini, Ennio Fantastichini e Renato Carpentieri (e con la partecipazione di Luca De Filippo prima della sua scomparsa avvenuta proprio un anno fa, il 27 novembre), con una distribuzione tuttavia limitata a una sola ventina di copie in tutta Italia. 

 Il film, presentato all’edizione 2015 della Festa del Cinema di Roma, ambientato nel primo dopoguerra, racconta la storia di una piccola compagnia di attori (capocomico con moglie e figlia, più un vecchio mentore/tuttofare) che naufraga assieme a un ridotto numero di camorristi (tre più uno disperso) sull’isola-carcere dell’Asinara, piccola, quasi del tutto disabitata e completamente scollegata e sconnessa dal mondo esterno, dove i delinquenti sono attesi per scontare la loro pena.
Una volta “sbarcati”, però, i criminali costringeranno il capocomico (Sergio Rubini) a farli entrare nella compagnia per evitare le sbarre.

Tuttavia, il sospettoso direttore del carcere (Ennio Fantastichini), grande conoscitore del teatro e della letteratura, metterà alla prova la bizzarra combriccola per cercare di capire chi sono i camorristi e chi sono gli attori: la loro sfida sarà mettere in scena La tempesta di Shakespeare in soli 5 giorni, prima che arrivi il traghetto successivo a portare notizie dal mondo esterno.
Il testo è liberamente ispirato a L’arte della commedia di Eduardo de Filippo, che a sua volta traduceva per il teatro napoletano appunto La tempesta di Shakespeare; il film racconta proprio questa curiosa ma potente fusione fra due giganti del teatro, seppur di epoche ovviamente diverse.

Il film è estremamente delicato e gentile nel raccontare il tempo sospeso di un’isola in cui è ancora la natura a dominare, e in cui le vicende degli uomini sono piccole e scollegate da qualsiasi forma di contemporaneità. E il dato interessante è che l’isola dell’Asinara è realmente così: niente hotel, negozi, strade o ristoranti.
Il racconto delle riprese da parte di attori e regista, durante la conferenza stampa di presentazione del film tenutasi a Roma a metà novembre, è in questo senso emblematica: niente telefoni, niente internet, a volte perfino niente acqua calda.
Il senso di condivisione della troupe e del cast artistico è stato poi restituito sullo schermo, e in fondo la storia non è altro che, per l'appunto, il racconto di una “condivisione forzata”.

 

Il sapore è quello di Mediterraneo di Gabriele Salvatores, film che si aggiudicò nel 1992 la statuetta per il Miglior Film Straniero; nel suo lavoro successivo, Puerto Escondido, e in un altro film di qualche anno dopo, Salvatores lavorò con un gigante come Renato Carpentieri, che ne La stoffa dei sogni interpreta il più anziano dei camorristi. 

Il film di Cabiddu rappresenta un nobile e riuscito esperimento di cinema, che dimostra anche il coraggio di una casa di produzione come la Paco Cinematografica (in collaborazione con Rai Cinema e distribuito da Microcinema Distribuzione), che ha sviluppato e realizzato lo script ben sapendo che non sarebbero piovuti miliardi e milioni dal cielo al botteghino. 

Una scommessa sulla qualità. Vinta. 

sabato 26 novembre 2016

Oceania - Un viaggio verso la propria identità

Bisogna (come sempre del resto) dare atto alla Disney di saper proporre sempre del nuovo materiale che nasce da una fusione con i temi ormai navigati della libertà, della crescita interiore, di conoscere se stessi, dell'amicizia, dell'amore e degli affetti familiari, che vengono rielaborati, predisposti e sottoposti con una serie di sfumature ed adattamenti infiniti, ma sempre validi.
E, dato ciò, diventa impossibile non trovare dei riferimenti verso i classici Disney, soprattutto anni '90 (ed in modo particolare per chi è  cresciuto mangiandosi letteralmente le care e vecchie vhs Walt Disney Home Video).

 

Casa Disney ritorna all'elemento acquatico, grazie anche ai registi Ron Clements e John Musker, gli stessi de La Sirenetta: tuttavia, se il film del 1989 raccontava la storia di Ariel e del sacrificio che è disposta a compiere per una questione tutto sommato individuale, in Oceania il sacrificio è più per un bene collettivo.

Dopo Lilo & Stitch, ci si ritrova ancora in Polinesia questa volta, però, a seguire le avventure di Vaiana, un'adolescente figlia del protettivo capo del villaggio dell'isola polinesiana di Motunui.
Vaiana è una ragazzina pronta ad affrontare quelli che saranno i suoi doveri una volta che sarà capo del villaggio; ama la sua terra ed i suoi abitanti e vuole molto bene alla sua famiglia.
Ma è il legame esclusivo con nonna Tala, che le racconta i miti della tradizione e le storie dei suoi avi, che farà scaturire a Vaiana tutta la sua attitudine all'avventura e la forza di volontà di riportare il cuore di Te Fiti (la Dea Madre) alla legittima proprietaria, cercando di fermare le conseguenze che da secoli questo furto ha portato, e cercare di essere se stessi.
Un viaggio che vedrà Vaiana insieme al semidio Maui e ad un goffo gallo, nelle vesti di compagni di viaggio.
Vaiana riuscirà a compiere la ricerca dei suoi antenati e soprattutto a trovare la propria identità, dell'essenza che scorre nelle vene di se stessa e del suo popolo.
 

La saggezza, l'invito a spronare e, quindi, il rapporto esclusivo nonna-nipote, non possono che rimandare ai legami Pocahontas-Nonna Salice (il rimando a Pocahontas vale anche l'amore del proprio popolo ed il richiamo acquatico) e Mulan-Nonna Fa.
E se proprio con Mulan si hanno diversi riferimenti nel modo di presentare al pubblico una diversa cultura attraverso disegni (nella fattispecie i tatuaggi tipici polinesiani), tradizioni, rituali e credenze, essi si hanno anche con Hercules riguardo alla narrazione mitologica col il supporto della musica e delle canzoni.

Rispetto agli altri film Walt Disney Animation Studios ed in particolare a quelli che consistono in un percorso di crescita interiore, Oceania è quello che forse più si allontana dal melodramma, che cerca di coinvolgere lo spettatore nella storia e nelle avventure della protagonista senza essere troppo lacrimevole o troppo ironico.
In Oceania la protagonista è non relegata nel tipico status di principessa: Vaiana sa il fatto suo, ha la parlantina pronta, ha le idee giuste, ha la navigazione nel sangue e possiede già tanta saggezza pur essendo così giovane. Nel rispetto della fattezze polinesiane non è molto alta, è robusta, agile, autonoma, con lunghi capelli ondulati (bagnati, asciutti, legati per praticità).
E forse in questo senso il rimando a Merida pare evidente (non è un caso che John Lasseter sia produttore esecutivo del film).

Insomma, per chi è disneyano accanito i rimandi si trovano ma per chi non lo è, il film è altrettanto godibile ed apprezzabile (anche se bisognerebbe ascoltare la versione originale per dare un giudizio sulle canzoni, ma tant'è).
Oceania porta alla scoperta di un'altra cultura, è un viaggio di conoscenza interiore e di espressione di se stessi senza remore, guidando sia lo spettatore adulto che bambino ad un viaggio avventuroso ed unico, realizzato interamente in una computer grafica, con ambientazioni talmente realistiche, che quelle de Il viaggio di Arlo ormai sono superate.

domenica 20 novembre 2016

La cena di Natale - Polignano strikes back!

di Emanuele Paglialonga


Il 24 novembre arriverà in sala La cena di Natale, sequel di Io che amo solo te dello scorso anno: entrambi diretti da Marco Ponti, entrambi tratti dagli omonimi romanzi di Luca Bianchini
 

 La location è la stessa, Polignano a Mare; il cast è il medesimo, almeno per quel che riguarda le due coppie principali, Riccardo Scamarcio e Laura Chiatti, Michele Placido e Maria Pia Calzone.
Le vicende si svolgono qualche mese dopo gli eventi del primo film: il Natale è alle porte, Chiara (Laura Chiatti) è all’ottavo mese di gravidanza, suo marito Damiano (Riccardo Scamarcio) continua a barcamenarsi fra moglie e amante, e i loro non più giovani genitori (il padre di lui e la madre di lei) progettano una fuga romantica in quel di Parigi.
Sullo sfondo, tradimenti, litigi, colpi di fulmine, capitoni e vibratori. Il prodotto ideale per la prima serata di Rai 1 (non a caso è prodotto da Rai Cinema) , da guardare distrattamente mentre i bambini piangono e il telefono squilla.
A piangere potrebbe, però, essere anche lo spettatore che dovesse trovarsi per caso a vederlo al cinema: non di certo per le emozioni e nemmeno per le risate (davvero poche).
 

 Ci si potrebbe commuovere per il pressapochismo con cui viene resa una miriade di intrecci superficialmente gestita, un susseguirsi di scene che non portano da nessuna parte per arrivare a un finale posticcio con una neve finta e un “colpo di scena” finale prevedibile e tutt’altro che coinvolgente.
Senza voler sparare sulla Croce Rossa, e volendo comunque precisare che in Italia quest’anno si è visto molto di peggio (vedi Tommaso di Kim Rossi Stuart), non si può girare la testa dall’altra parte e far finta di non vedere. Che senso ha aprire una serie infinita di sottotrame, per portarne poi a compimento a stento due e per di più frettolosamente? 

 E poi, la questione dell’accento.
Laura Chiatti è di Castiglione Del Lago (Umbria), Maria Pia Calzone è di Reino (Campania), Antonella Attili è di Roma, Eva Riccobono è di Palermo, Eugenio Franceschini è di Verona, Antonio Gerardi è di Potenza, Dario Aita è di Palermo, Giulia Elettra Gorietti è di Roma. Gli unici pugliesi sono Scamarcio, Michele Placido e Uccio de Santis.
Ciononostante, tutti i personaggi principali e secondari parlano con un fintissimo accento pugliese, sintonizzato perlopiù sulla frequenza di Bari (nella cui Provincia rientra Polignano).



Un altro film con un casting di questo tipo e poi davvero l’ultima speranza per la Puglia saranno le trivelle.

giovedì 17 novembre 2016

Animali notturni - Il dolore di un'apparenza che inganna

 
Il dolore celato sembra ormai una costante nei film di Tom Ford, così come l'eleganza e la mano vellutata nel raccontare temi e fatti e proporli al pubblico.
Nel bene o nel male, a Ford sono bastati due film per apporre il suo marchio distintivo e la sua impronta nel cinema.

Animali Notturni, presentato alla scorsa Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia e tratto dal libro Tony & Susan di Austin Wright, è un'analisi dei sentimenti cupi, di quel dolore che non viene espresso ma continua a lavorare sottopelle lacerando l'anima.
Susan (Amy Adams) è una donna raffinata, altezzosa, che ha sbarcato il lunario, sposando in seconde nozze un buon partito.
Tuttavia il mondo in cui vive, che le dà ricchezza e una certa dose di notorietà, non è in armonia con la sua anima: il mondo che ha scelto per avere una carriera che la potesse portare al gradino più alto della scala sociale è costellato dalla corruzione, dalla presunzione, dalla convenienza e dall'amore facile.
E non c'è peggio che sentirsi solo al mondo quando si è in mezzo ad un mare di gente e quando apparentemente si ha tutto.

L'eleganza che Ford quasi ostentava in A Single Man (2009), il suo film di debutto alla regia, in Animali Notturni è più soft, più vellutato, si fa più raffinato, come i tratti gentili di Susan alla quale vengono fatti inforcare gli stessi occhiali che indossava Colin Firth nel primo film. Occhiali da vista per focalizzarsi bene su quello che sarebbe opportuno considerare, analizzare, e battersi e ritrovare le fila di quello che si era perso o abbandonato nel passato.
La sofferenza di Susan verso il passato che sembrava aver dimenticato o voluto dimenticare prende piede sempre più nel momento in cui il suo ex marito (Jake Gyllenhaal), il vero uomo della sua vita che ha abbandonato per seguire la strada della scalata sociale diventando quello che in gioventù si era promessa di non diventare, le invia una copia del suo romanzo, Animali Notturni.
Il romanzo, che Susan legge assiduamente narra la storia di una famiglia in viaggio che viene fermata per strada da ragazzacci dipendenti dell'adrenalina che scaturisce dalla violenza gratuita al prossimo. Dei componenti della famiglia, saranno moglie e figlia a farne le spese: verranno violentate ed uccise, mentre per l'uomo (nel quale Susan rivede il volto del suo ex marito) inizia un calvario tormentato e costellato da sete di giustizia e vendetta.
La stessa vendetta per l'autore del romanzo, che vuole far conoscere la Susan la sofferenza che la sua scelta a provocato in lui, per far conoscere lo stesso sentimento in lei.

Il film si svolte su tre piani narrativi (i flashback sulla relazione tra la protagonista e l'ex marito, il presente e l'immaginazione della lettura) perfettamente incastrati tra loro grazie ad un abile montaggio e con un'estetica composta da perfette simmetrie e dai toni accesi, senza opacità e sfumature, un abile lavoro da stilista.
Tuttavia questo non basta per tenere viva l'attenzione dello spettatore, poiché il rischio è quello di far suo il distacco con il quale vengono trattate le dinamiche fino a qui descritte e rimanere senza emozioni o senza nulla su cui rimuginare.

mercoledì 16 novembre 2016

Animali fantastici e dove trovarli - Che una nuova magica saga abbia inizio!

A 15 anni esatti dall'uscita di Harry Potter e la pietra filosofale (il 16 novembre 2001 uscì in Irlanda e Regno Unito e un paio di settimane dopo anche nel nostro paese) il mondo dei maghi fa ancora parte di noi.
Nessuno forse si sarebbe aspettato di restare legato a tale mondo; eppure, 15 anni dopo (e 5 anni dopo l'ultimo capitolo cinematografico) si è ancora qui a parlarne, discuterne, rifletterne, grazie ad Animali Fantastici e dove trovarli.

Animali fantastici e dove trovarli, in realtà, prende il prestito il titolo dell'omonimo libro, scritto dalla penna britannica con la più fervida immaginazione, ibridata al percorso di crescita e formazione pieno di sentimenti ed avventure: J.K. Rowling.
Il libro, editato nel 2001, contiene la descrizione e la classificazione di molte e diverse creature magiche, esistenti in tutto il mondo, scritto dall'autore immaginario Newt Scamander, un famoso magizoologo, dipendente del Ministero della Magia.

Questa piccola premessa sta a motivare il fatto che questo film è totalmente originale, un nuovo frutto della mente della Rowling, poiché il protagonista è proprio Newt Scamander (Eddie Redmayne): arrivato a New York da Londra (dopo numerosi viaggi per il mondo) ha con se solo la sua valigetta che contiene una parte di mondo magico, gli animali fantastici, da salvaguardare.
Coinvolto in un caso di magia oscura, Scamander verrà aiutato da Porpentina, ex auror (Katherine Waterston), sua sorella Queenie (Alison Sudol) e dal no-mag (ovvero i babbani) Jacob (Dan Fogler) a risolvere la situazione ed a reinserire nella preziosa valigetta quegli animali che per sbaglio erano scappati.
Il rischio dei due avvenimenti (la presenza oscura e gli animali) è quello di rivelare al mondo no-mag la presenza del corrispettivo magico, perché "gli umani quando hanno paura, attaccano" e una guerra tra i due mondi potrebbe a quel punto essere inevitabile e fatale.

La regia di David Yates sembra più limitata e contenuta rispetto agli ultimi quattro Harry Potter da lui diretti, piuttosto schematica e statica nel proporre ambientazioni e personaggi (arricchita, però, dagli ottimi effetti speciali; gli animali rappresentati sono ben delineati e rappresentati).

Non si direbbe, ma la sceneggiatura della Rowling (a differenza della saga di Harry Potter ha voluto essere lei sceneggiatrice per evitare errori riguardo ad avvenimenti e legami) è piuttosto piatta: i legami con il mondo magico che già conosciamo ci sono e sono anche tanti e di diverso spessore, ma i personaggi e i relazioni tra loro sono fini a sé stessi, trasmettono poche emozioni allo spettatore e non fanno suscitare la voglia di conoscerli appieno, come se non volessero uscire dalle loro crisalidi, facendosi meri portatori di frasi da cliché e, alla larga, prevedibili (diversamente dagli animali che infondono, invece, simpatia ed emozioni).

Essere non di parte, non è facile, specie per chi con il mondo magico Rowlinghiano ha percorso la strada che va dall'infanzia all'età adulta, come i loro personaggi.
E Animali fantastici che, nonostante i collegamenti di trama e personaggi con la saga precedente riesce a sganciarvisi senza traumi, può aspirare ad una maturità di fatti, ambientazioni e rapporti, che in questo film vengono solo abbozzati e non approfonditi, tanto da essere un film quasi episodico con pochi fili conduttori ai successivi capitoli.
Un po' lento a carburare perdendosi, forse un po' più del dovuto, a far conoscere i personaggi, si riprende molto bene da metà film in poi (anche, se, con pochi e abbastanza prevedibili colpi di scena), rivelandosi, alla fine, godibile per chi non ha troppe pretese.
 

Ma la domanda da porsi è: riuscirà l'ingegno della Rowling a tirare fuori da suo magico cilindro gli altri quattro capitoli, dal materiale del tutto originale, tenendo ancorati gli spettatori per una media di almeno altri otto anni?

domenica 13 novembre 2016

Genius - Quando la genialità tende a straripare

Genio.
E' una parola che vuol dire tutto e non vuol dire niente. Un termine in genere prettamente soggettivo e che raramente diventa di condivisione  universale, assumendo la vera essenza del significato stesso.
E proprio quest'ultimo è forse il caso di Thomas Wolfe.
 

Lo scrittore è il protagonista del film Genius, ambientato nell'America degli anni '20; la sua quotidianità è fatta di scrittura, eppure, non trova uno straccio di editore che possa pubblicare il suo primo romanzo che, una volta dato alle stampe, avrà il titolo definitivo di Angelo, guarda il passato.
In questo periodo di frustrazione, diventa provvidenziale l'intervento dell'editore Maxwell Perkins (Colin Firth), che scoprì Francis Scott Fitzgerald (Guy Pearce) ed Ernest Hemingway (Dominic West) e che sarà l'unico a scommettere su Wolfe (Jude Law), vedendoci giusto.
Il romanzo di Wolfe diventa un best seller e tra lui e Perkins non s'instaura solo un rapporto lavorativo, ma di profonda amicizia che porterà i due ad allontanarsi da chi li ama per coltivare il loro legame esclusivo e proficuo, mandando in profonda crisi il rapporto tra Wolfe e la sua compagna Aline Bernstein (Nicole Kidman).
Il secondo romanzo di Wolfe sarà Il fiume e il tempo, che metterà a dura prova il rapporto con il suo editore-mentore.
 
 
I lavori dello scrittore americano sono pieni di minuziose descrizioni di ambienti, cose e persone, uno straripamento letterario; per questi motivi i suoi scritti devono essere sottoposti a numerosi e pesanti tagli da parte di Perkins, per dare una maggiore sintesi e comprensione alla lettura ed innalzare l'asticella di vendita e di successo (e con tutta l'amarezza di Wolfe).
Un genio puro, inarrestabile, quasi incapace di poter essere contenuto nella mente di una sola persona, utilizzando essa come un mero mezzo di espressione che si scontra con il genio lucido e maturo di chi cerca di arginare lo straripamento, a fin di bene.
Un vero e proprio abbandono dell'essere persona per diventare un obbediente schiavo della letteratura.
 

Genius, presentato al Festival di Berlino e passato all'undicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, è realizzato cercando di calibrare e controllare ogni minimo particolare (quasi come la devozione per i dettagli di Wolfe); è impossibile non notare come la regia di Michael Grandage sia di stampo teatrale, prettamente denotabile dai movimenti degli attori  (proprio lui che ha sempre lavorato con il teatro e in questo debutto alla regia cinematografica non si è per nulla sganciato da esso) e di come, grazie alla fotografia sul seppia, rientri nel genere biopic, senza mai lasciarsi andare o percorrere qualche rischio..
Insomma, una regia tanto precisa quanto, invece, non lo è la sceneggiatura di John Logan (Il Gladiatore, The Aviator, Sweeney Todd - Il diabolico barbiere di Fleet Street, Skyfall), che sembra non dare l'esatta giustizia a quello scrittore dal genio esondante ed alle frustrazioni che derivano da esso, tramutandole come capricci da primadonna e dal vivere con superficialità..

giovedì 10 novembre 2016

Sing Street - La musica che tiene svegli!

Sing Street potrebbe essere l'ennesimo film che racchiude un percorso di formazione di un adolescente qualunque, che vive e si divide tra un amore adolescenziale, una band scolastica e una famiglia in crisi con dei genitori che minacciano costantemente la separazione.
Tutto è vero e lo è anche il suo contrario.

Ambientato nella Dublino degli anni '80, Sing Street racconta la storia di Cosmo (Ferdia Walsh-Peelo), un adolescente che, cambiata la scuola per motivi economici, si ritrova in un liceo cristiano di soli ragazzi, preso di mira dai bulli e, gradualmente, anche da chi gestisce la scuola.
Sarà il fuori scuola a cambiare la sua vita, quando una ragazza, con fare da modella, attirerà il suo sguardo: e quale miglior modo per fare colpo se non dire di essere il leader di una band?
Siamo nel pieno degli anni '80, in un'Irlanda in piena crisi economica e nel boom delle band giovanili dedite alla pop music: ed è proprio questo tipo di musica ad essere protagonista e filo conduttore di tutto il film.
Arriva per tutti gli adolescenti, maggiormente per quelli che vengono esclusi, emarginati e presi di mira da ci si crede bullo, il momento in cui ci si sente rappresentati dalla musica e dal/dalla cantante/band del momento (in questa pellicola l'influenza va da The Cure e A-Ha ai Duran Duran e Spandau Ballet); note e parole che messe insieme fungono da rifugio intimo e da stimolo a caricarsi di energia e a dare una marcia in più alla propria vita.
 

La musica fa parte della vita di tutti, dall'alba dei tempi; accompagna ogni singolo momento e ci sarà sempre quel brano che sembrerà esser stato scritto e composto per noi. Essa, forma e accompagna l'esistenza di tutti. E in fondo questo è quello che avviene a Cosmo, anche se in forma attiva perché sarà proprio lui a ideare e comporre una band per cercare di conquistare una ragazza.
La musica diventa il balsamo ed il collante di condivisione di esperienze (vedi i membri della band, tutti, come Cosmo, isolati ed emarginati non per la loro negatività ma, anzi, per le loro qualità più o meno nascoste), di amicizie profonde, di un amore adolescenziale (che a ragione non vuol significare meno valido di un amore adulto) e di recupero di rapporti umani, soprattutto familiari.
Quando la musica incontra quell'adolescenza spensierata, che non vede paletti od ostacoli di nessuna forma e dimensione nel proprio presente e men che meno nel proprio futuro, si scatena un big bang di emozioni poco dominabili; da questa collisione scaturiscono sinfonie di emozioni, espressioni e fantasie che non vedono barriere né confini alcuni.
 

In Sing Street, Cosmo diventa l'alter ego del regista John Carney (Once, Tutto può cambiare) che ai suoi tempo ha condiviso gli stessi sentimenti e vicissitudini del protagonista. Bisogna dare onore al merito dello stesso regista che ha curato, insieme a Gary Clark, tutte le canzoni del film, tutte rigorosamente originali. Un invito importante ad abbandonare le cover, insomma.
Nato come film indipendente, Sing Street è stato presentato al Sundance Film Festival e all'ultima edizione della Festa del Cinema di Roma.

Sing Street è un invito a sentirsi sempre un po' dei buoni adolescenti, a conservare sempre un po' di spensieratezza, di fantasia, di sogno. Perché se la musica riesce a coincidere con la propria esistenza ed aiuta a far staccare i piedi da terra per un po', allora ha raggiunto il suo scopo. Se non essa non riesce nell'intento, allora, è come morire un po' dentro.