mercoledì 28 settembre 2016

Café Society - Una tessera di sogni del mosaico della vita

Commedia. Amore. Nostalgia.
Sempre i soliti temi direbbe qualcuno. E sarebbe un'affermazione assolutamente vera. Ma dove si può trovare un regista che sin dai primi film (alla fine degli anni '60) sino ad oggi, con la media di un film l'anno, riesca a proporre gli stessi temi ogni volta, con una sfumatura diversa, sempre nuovi e aggiornati?
 

Cafè Society è l'ultimo film del prolifico Woody Allen (che è già al lavoro del successivo, con Kate Winslet e Justin Timberlake, di cui non si conoscono né titolo né sinossi), che questa volta guarda indietro a Hollywood e alla sua cara New York  degli anni '30.

Questa volta l'alter ego di Allen è Bobby Dorfman (Jesse Eisenberg); nato e cresciuto nel Bronx, che decide di trasferirsi a Hollywood, alla ricerca di un lavoro che non lo rinchiuda in un negozio polveroso per tutta la vita.
Arrivato in quello che sembra il paese dei balocchi, va alla ricerca dello zio Phil (potente agente delle star); grazie a lui conoscerà l'amore della sua vita. La dea dell'amore, però, farà in modo che Bobby venga messo da parte, in un mondo patinato che comincerà a trovare ostile ed egli tornerà, così, al quel paese che gli ha dato i natali e in cui verrà travolto (grazie anche a suo fratello Ben) nel mondo della vita dei locali notturni dell'alta società.

 
 
Impossibile dire qualcosa che non sia già stato detto o ripetuto osservando i film precedenti dello stesso regista.
Cafè Society è una semplice commedia romantica a tinte romanzesche, ambientata in quegli anni dove sembrava possibile fare tutto nella vita, senza problemi.
I sogni sono un flusso continuo, specialmente per il protagonista, che si ritrova, però, a sentirsi in qualche modo "limitato" a dare forma ai suoi desideri, quando il bastone del destino decide di mettersi in mezzo alle ruote della vita.
E quei sogni che danno forma al mondo rischiano di rimanere (con amarezza) soltanto quello che sono; sogni. Ma che, nonostante tutto, non muoiono mai.
 
 
Allen riesce a tirare in piedi un film tecnicamente più complesso dei precedenti, dati alcuni complessi movimenti della macchina da presa e soprattutto dell'impeccabile fotografia di Vittorio Storaro, che riesce a portare l'estetica del film negli anni '30 che furono, ricchi di candele e dai toni opachi dei primi technicolor, e co-creatore di malinconici tramonti.
Sempre presente l'ironia pungente di chi continua ad analizzare le fasi della vita prendendola con filosofia, in un rapporto col passato che Allen ha costruito da qualche anno a questa parte.
La vita ed i suoi scherzi, che portano alla malinconia, alla nostalgia, ai rimpianti per tempi, luoghi, persone.
E chissà quante mille altre sfumature della vita riuscirà Allen a tirare fuori dal suo cilindro da commediografo; chissà quante altre tessere verranno prodotte per continuare a costruire un mosaico senza fine.

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